Ferrara è un sogno che si dimentica non appena ci si risveglia allontanandosi da Lei. Ed ogni volta che vi si ritorna, il sogno si ripete con gli stessi sfuocati contorni, con le sorde pulsazioni del suo intimo e semplice vivere, come la promessa di un amore che si rinnova continuamente aumentando d’intensità e sensazioni avvertite. Questa volta non so se per andare a Ferrara mi sia bastato assopirmi o abbia dovuto prendere uno di quei treni dimenticati, gremiti di giovani chiassosi alla ricerca del loro futuro segregato e ingabbiato dietro ad un piccolo schermo vitreo, sta di fatto che il “pretesto” per ribadirmi in terra estense era la mostra del pittore impressionista Corbet, che animerà il Palazzo Dei Diamanti fino al prossimo Gennaio. Un menù succulento quindi e, forse, proprio in questa espressione giace l’unica nota dolente dell’indimenticabile giornata passata, a causa di un processo che lentamente sta erodendo una delle più antiche e importanti ricchezze italiane, il rito del mangiare bene.
Dopo la visita alla mostra, della quale vi accennerò in seguito, ho comperato due “coppie” (pane tipico chiamato anche “croce” o “ragno”), un etto di “zia ferrarese” e un altro di “salama stagionata” (due salumi dal sapore e dai profumi indimenticabili) e mi sono accampato su di una panchina sotto un confortante sole settembrino a consumare il mio pasto. Purtroppo, in linea con il mio sguardo, c’era un enorme fast food che pullulava di ragazzi e ragazze, bambini con genitori, turisti e, in numero minore, anche persone di una certa età. Mi viene da ridere quando se ne fa una questione di prezzo, io ho speso circa quattro euro e cinquanta centesimi per le cose che vi ho appena elencato e ci avrebbero mangiato tranquillamente due persone che, a differenza mia, preferiscono una vita lunga ad una larga. Ci stanno espropriando delle nostre ricchezze gastronomiche di sempre per rivendercene gli scarti, secondo me il futuro non è nascosto nè dietro lo schermo vitreo nè dietro dispensatori di quantità dequalificate non edibili, fatto stà che il mondo ha preso le sembianze di un marito a caccia dei calzetti puliti che cerca dappertutto tranne che nel posto dove sono sempre stati; Moglie Celeste dagli un indizio.
Ero già stato parecchie volte a Palazzo Dei Diamanti per visitare mostre spesso meravigliose, evidentemente il team di persone che le prepara, chi ci lavora, chi le organizza e pianifica è un gruppo, da anni, particolarmente ispirato. Dopo 5 minuti del mio solito show comico con le ragazze alla biglietteria (diciamo che a mio modo devo marcare il territorio) e senza prendere l’audioguida compresa nel prezzo (voi andreste ad un concerto del vostro artista preferito portandovi la televisione?) , finalmente è iniziato il tour alla scoperta del pittore francese attraverso una cinquantina di opere che mi hanno deframmentato l’anima ristabilendo la linearità del fluire nel mio contesto emotivo.
Io non ho le competenze per fare il critico d’arte o la guida turistica, posso solamente cercare di tradurre le sensazioni che ho provato in parole: come recita il titolo della mostra, i dipinti di Courbet mi hanno trasmesso l’onnipotenza della natura in alcune sue forme e, il narcisismo che sembrerebbe affiorare da alcuni suoi autoritratti o da legami con le sue lande natie, secondo me altro non è che l’ennesimo umile inchino riverente alla madre del tutto; al termine mi sembrava di essere tornato da una rilassante passeggiata nei boschi del Sannio, ringrazio l’amico Courbet per avermi accompagnato oltre l’immagine, in un viaggio suggestivo difficilmente rimovibile.
Il bus del ritorno, il treno del ritorno, la bicicletta del ritorno ma…da Ferrara poi, si ritorna mai veramente? Vi dico solo un piccolo segreto: sapevo di necessitare di soli due biglietti del bus, in realtà, all’edicola, ne ho acquistati quattro, che è la mia ennesima promessa di rivederci…au revoir Frera!!!
(In questo articolo ho usato ben due punti e virgola, fuori conio dal 1978)