Scende al bar alle 8 di mattina
gli occhi lucidi, cosparsi di brina
sguardi lunghi la cercano
ma lei sorride tra se e se
e mescola il rossetto col nero del caffè
sfila, libellula leggera
solcando con i tacchi i marciapiedi
come la puntina sul vinile
è sinfonia di quartiere
è cuore che irrompe
sentenza irrevocabile
che trasforma un “mai più”
in “per sempre”
lei è lei, e non solo gente…
In piedi sul tram
si specchia nei finestrini
rivedendo se stessa
nei giorni più docili
del tempo addomesticato
dalla distrazione quotidiana,
ma ora quel foulard
a coprirle il capo
è il fregio di un confronto
tra lei e un fato baro
che affonda l’affilata lama
su chi può sovvertirlo.
L’ultima fermata,
l’epicentro della vita.
Affronta la metafora
delle scale in salita,
la paura attende fuori a fumare,
l’infermiera l’abbraccia,
scopre il suo capo glabro
e l’accomoda sul lettino
per il sottocutaneo oblio
che goccia dopo goccia
pervade l’arena
del suo corpo immobile,
con gli occhi chiusi a sognare
una vita con un principio ed un centro
e senza male dentro
senza maledetto tempo
perchè il male non fa male
se il domani ti siede accanto.