“Dai…esci un po’…una birretta in balotta e si torna presto, domani lavoriamo tutti!!!”. Sti stronzi degli amici. La bocca infeltrita rilascia vapori venefici che riuscirebbero a far passare l’appetito anche alla pianta grassa che presidia il mio comodino. All’interno della scatola cranica sento un moccioso di nove anni al quale è stata regalata una batteria per il compleanno; insopprimibile. Però indosso scarpe e calzetti. Mi spiego: sono completamente nudo sul letto ma indosso scarpe e calzetti. Che fossi uscito in kilt ieri sera? Non ce la faccio, chiamo a lavorare e con una voce mista tra Orson Welles e il motore di una Royal Enfield dichiaro che non sono in grado di compiere alcuna mansione se non quella di putrefarmi allegramente.
Slombrico mesto sul parquet della camera cercando di raggiungere il bagno, zigzagando tra indumenti, documenti, pentimenti e un preservativo usato: se ieri qualcuna ha deciso di darmela, allora non ero io il più ubriaco. Continuo sbisciando e m’aggrappo al lavandino per provare a lavarmi la faccia, ma lo specchio trasmette una delle immagini più nefide nella storia della specularità: a parte i due trolley Borbonese sotto gli occhi, le labbra crepate buone solo per la prossima Parigi – Dakar e i capelli più aggrovigliati di un auricolare nello zaino, l’immagine complessiva mi ricorda qualcuno. No, Marilyn Manson è eufemistico, Slot dei Goonies è più prestante, Costanzo? Na, naaa, io sono più insaccato. È tipo…come se Edward mani di forbice m’avesse accarezzato il viso tutta notte, come se mi fossi schiacciato un brufolino con il C4, come se i pixels che disegnano il mio volto avessero appreso il concetto di entropia.
Ho capito: sono diventato il personaggio di Stephen King “It”, “Esso” però con una “C” in più, intuibile dove debba essere apposta. Dalla depressione post party mi scende una lacrima doppio malto ma non mi arrendo, anzi, sempre con calzetti e scarpe entro nel box doccia come una furia e apro l’acqua gelida, talmente gelida che scende a cubetti, se ci fosse un cavallo con me potremmo fare una partita a polo. Sud. A parte il rischio di arresto cardiaco (mi vengono in mente i Carabinieri che portano via in manette il mio cuore), esco dalla doccia completamente blu e mi offrono una parte da protagonista nel film “l’ibernauta”, solo ora capisco cosa significa quando uno muore perchè è stato freddato. Per fortuna non ho acidità di stomaco. Forse non ho più nemmeno lo stomaco se è per questo. E non mi si venga a blaterare su quel coso, quell’affare che te lo ricordano tutte le volte che ti stai divertendo, quel robo il “tegamo”, no il “sesamo”, ah sì, ce l’ho, il “fegato”!!! Ma chi ci crede Dottò? Secondo lei il Creatore, nella perfetta geometria della sua espressione, s’inventerebbe un organo utile solo per rompere le balle? Ma dai, è il solito “fake liver” che pubblicano su Facebook. Poi per uno spasimante delle parole come me, sentirne una che non fa rima con niente è un ossimoro intrinseco. Se lo immagina in prima pagina sul Carlino? “Filippo Fenara morto per malattia al fegato, è giallo”, lasciamo perdere che è meglio. La musica; ho letto sul Corriere Dei Piccoli Sbronzi, che una bella musica allegra aiuta a riprendersi dall’hangover: metto su un disco di musica leggera italiana e fortuna vuole che tengo sempre il defribrillatore a portata di mano…1001, 1002, 1003…scarico!!! Mi sto perdendo!!! Noooooo!!! 1003…scarico!!! E miracolosamente sono di nuovo in piedi. Dicono altri che la soluzione a tutti i malesseri sia acqua tiepida, limone e bicarbonato: al solo pensiero mi attacco alla bottiglia di detersivo per i piatti, che se proprio devo morire ora, mi faccio cremare e ricopro Bologna di bolle di sapone. Simpatico sto ragazzo. Rovisto nelle tasche dei pantaloni che ho accuratamente riposto in forno ieri sera, vorrei una sigaretta ma ne esce solo un bigliettino scritto a biro con un numero di telefono e un cuoricino disegnato: non tutto è perduto. Cerco di ripercorrere il film di ieri, ma in testa ho solo un trailer, mi ricordo un po’ “Memento” io però mi sento “Demento”, questione di lettere, non mi resta che comporre il numero, sentire la risposta “Calderara Gomme, chi parla?” e riattaccare immediatamente. Così è.
Ovviamente questo è un racconto retaggio dei miei ventanni, adesso che ne ho ventitrè ho smesso mamma, te lo giuro.
2 thoughts on “Come non ci fosse ieri”
Marie Morel
Produci immagini molto vivide e a tratti esilaranti. Adoro come scrivi
Filippo Fenara
Il potere di chi scrive è racchiuso nell’immaginario di chi sa leggere. Grazie Marie.