Avevo promesso, in uno degli ultimi articoli, di spendere un po’ di lemmi per uno dei massimi esponenti informatici al mondo suicidatosi nel suo appartamento di Brooklin l’11 Gennaio 2013 a soli 26 anni, Aaron Swartz. Come da prassi, lascio digitare alla vostra curiosità il suo nome sulla barra delle ricerche di Google per leggere la sua Bio, vedere il film a lui dedicato, capire quanto il suo sacrificio abbia contato per la libertà di internet e del sapere digitalizzato.
Riavvolgo: da qualche anno sono diventato un ubuntiano irreversibile (ubuntu: sistema operativo costruito sul codice sorgente aperto di Linux), fin dal primo momento in cui ho avuto a che fare con questo sistema ho deciso di appoggiare l’idea anarchica di poter utilizzare sistemi operativi e programmi liberi, modificabili e non vendibili, tutto questo mi ha fatto sentire parte di una “minoranza maggiorata” molto coesa e consapevole della strada che ha imboccato. Capire Linux è un po’ capire Aaron: con il suo know how informatico avrebbe potuto guadagnare montagne di dollari e starsene a bordo piscina con un daiquiri tra le mani, ma lui non era fatto così e preferì affrontare a viso aperto il governo americano (mica brustulini) che, con la legge bavaglio SOPA cercò di reprimere la “libertà di connessione” (…e una cosa simile stanno provando a fare in Europa da un po’ di tempo) ma, grazie a coraggio e competenza, Davide sconfisse Golia e il SOPA venne accantonato. Credo sia doveroso pensare che, tutti i “piedini” che il ragazzo pestò in quell’occasione, possano avere un collegamento logico con il suicidio del giovane Swartz, ipotesi avvalorata dal fatto che qualche anno dopo egli venne incriminato e minacciato da un tribunale americano con una richiesta di pena esorbitante ed inappropriata per aver trafugato scritti scientifici di pubblico dominio da Jstor (che ne possedeva il copyright nelle versioni digitalizzate) con il probabile intento di renderli gratuiti e fruibili a tutti. Credo che la sua fosse stata solamente una provocazione che però aprì un’enorme breccia nel mondo del sapere privatizzato e monetizzato dell’imbarazzante mercimonio artistico e scientifico mondiale.
Fu proprio Aaron che ideò i “Creative Commons“, nuove forme di tutela del diritto d’autore alternative al copyright che diedero il via alla “share economy” dei contenuti di internet e che oggi cominciano ad essere molto utilizzati da scrittori, registi, fotografi, programmatori, che vogliono condividere con il mondo le proprie idee senza rischiare di essere schiavizzati dall’industria del sapere che prima ti adula, poi ti spreme e, nel momento in cui diventi troppo ingombrante, ti elimina continuando a lucrare su ciò che di bello e geniale hai creato nella tua vita.
Sono oramai anni che evito di comperare le famose “raccolte post mortem” di cantanti e musicisti di spicco venuti a mancare, sono palesemente ridicole e spesso mistificate (aggiungerei oltraggiose) le celeberrime “opere inedite” che vengono pubblicate dopo la scomparsa di un artista (pochi giorni dopo la morte dell’immenso Prince girava l’indiscrezione che avesse una cassaforte con migliaia di canzoni mai pubblicate) faccio sempre più fatica a tollerare l’economia elitaria circense delle mostre itineranti di grandi pittori o fotografi del passato: è come se non si aspettasse (eufemismo) altro che la dipartita dell’ideatore per poter fare un uso sconsideratamente e biecamente commerciale del suo lavoro e della sua immagine, tant’è che, ormai da anni negli States, si tengono concerti nei quali si esibiscono ologrammi di Tupac Shakur, Amy Winehouse, ecc…
Personalmente, per ora, deposito tutto ciò che scrivo con la più restrittiva delle Creative Commons, che necessita dell’attribuzione dell’opera, permette la copia e il download ma non le modifiche e gli usi commerciali; purtroppo in italia, la questione è ancora controversa: immagino che SIAE, editori e distributori siano terrorizzati da tale cambiamento ma il Filippo, nel suo ritrovato spirito adolescenziale anarco collettivista, crede in un futuro di pubblico dominio senza dover rimpinguare le tasche dei potenti di turno. La strada è ancora lunga e irta di difficoltà e trappole, ma il sogno della disintermediazione tra le proprie idee e l’utente finale è per me un traguardo irrinunciabile e finanche romantico.
Aaron Swartz, il partigiano martire che si é immolato per tutti noi contro l’oppressore lottando per la libertá comune. Ogni 11 Gennaio un pensiero a quel mio amico lo spendo volentieri, accettando metaforicamente da lui il testimone di un futuro più roseo.
Dimenticavo: a Mantova (città che non smette mai di stupirmi in positivo), qualche anno fa è stata inaugurata una biblioteca/centro servizi intitolata ad Aaron Swartz, mi sento meno solo e meno insurrezionalista, grazie.