Ho realizzato di avere un forte e spontaneo legame affettivo con una – – stradina nel pieno centro di Bologna. Oddio, ancora non si parla di matrimonio in quanto lei ha una relazione geolocalizzata con google maps, ma i suoi numeri civici (60 – 90 – 60) fanno in modo e maniera che venga calamitato sul suo selciato ogni volta che mi capiti di passare nei dintorni di Piazza Maggiore. Erroneamente i più suppongono che si chiami “Oberdan” in onore al Guglielmo patriota irredentista, in realtà grazie ai i miei studi etilici, scienza che trova il suo metodo dopo la seconda birra media, ho convenuto che il nome deriva da una fusione di due termini come il teutonico “Ober” (superiore) e il nipponico “Dan” (livello nelle arti marziali) per cui ci troviamo di fronte ad una zona di “livello superiore”, e dici poco.
L’ultima volta che andai in centro con mio padre, oramai ventinove anni fa, ricordo bene che lui era restio ad accompagnarmi in quanto aveva ancora la salopette che indossava per il suo lavoro di fontaniere e rientrava ancora in quella mentalità per cui in centro era obbligatorio andarci docciati, profumati e con la camicia. Se potesse vedere il centro di Bologna oggi, probabilmente si cambierebbe e si vestirebbe da clochard per sentirsi in pendant con il degrado consumista che anima il passeggio felsineo. Come rispondo oramai da anni ai turisti che mi chiedono indicazioni “il centro di Bologna non è più a Bologna” ma questa è un’altra storia. Io e il Franco ci dirigemmo proprio in Via Oberdan in quella che fu un’istituzione per i musicofili del capoluogo, il negozio di dischi e cd “Nannucci”: la tecnologia digitale del compact disc aveva appena fatto il suo esordio nel mondo, a me era stato regalato uno dei primi lettori, per cui lui acquistò “L’apparenza” di Lucio Battisti e a me offrì un album degli AC/DC. Ricordi nel presente, antitetico ed allo stesso tempo facilmente dimostrabile.
Poi…in Via Ober Dan c’è una delle (due a mio parere) migliori caffetterie e sale da tè di tutta la provincia, per me è un richiamo irrinunciabile, il culto del caffè in quel luogo è celebrato con oculatezza, estrema professionalità e la giusta quantità di simpatia e dialogo con gli avventori, se passate da Bologna chiedete e la risposta vi condurrà con ogni probabilità in Via Dan (per gli amici).
“Nannucci” è stato sostituito da anni da un negozio di libri (soprattutto usati) nel quale mi piace passare un po’ di tempo per rendermi conto di quanto mi toccherà vivere ancora per diventare un po’ meno incolto, ovviamente dopo un caffè monorigine etiope che ancora danza nei miei sensi. Poi, paradossalmente, con il ritorno in auge dei CD e vinili, da qualche anno, cinquanta metri circa più avanti ha aperto un negozio di musica e gadgets molto carino, peccato (ma non per colpa loro) che un vinile normalmente costi attorno ai ventitrè euro, come dire che la musica spetta solamente a classi gerarchiche più abbienti.
Sabato sera, dopo il lavoro, ho noleggiato un pedalò per muovermi in mezzo alla marea di consumisti nel centro pedonalizzato di Bologna, ovviamente ho “tagliato” per la Via NippoTeutonica e un suono divino ha attanagliato la mia attenzione. Un ragazzo, un artista di strada, suonava il clarinetto improvvisando scale e assoli jazz, recitando refrains di standards, il tutto con un’anima che definirei quantomeno profonda. Sarà un caso, ma penso di essere stato l’unico ad essermi incantato per venti minuti ad ascoltarlo e, approfittando di una sua breve pausa, gli ho stretto la mano per complimentarmi, bravo, hai talento. Ancora lo ringrazio per avermi ricordato che la migliore musica non sempre si trova negli stadi, nei palazzetti dello sport e nei clubs selettivi, la musica, come Dio, è veicolata nell’ovunque.