Con i capelli come gli spaghetti nella scodella di Alberto Sordi, mi presento alle 7 in stazione a Gronny in attesa del torpedone che trasla al porto di Lauwersoog, caffè lungo e combustione tabagica a due centimetri dalle mie labbra. Alla vita piace essere maltrattata senza essere trattata male. M’accomodo in un posto in fondo al bus a memoria degli anni scolastici, calo sul viso gli occhiali da sole immaginari smarriti in un qualsiasi posto un paio di giorni fa e il sax di Lester Young fluisce liquido attraverso gli auricolari, ripristinando il giusto calibro con cui rapportarsi al creato. Quaranta minuti di pianura di verde abbigliata, un sole mussoliniano che s’impone sui volti assopiti di noi passeggeri c’intrattiene fino al porto, una gettata dubbia di cemento senza pretese estetiche si staglia davanti ai nostri passi impavidi verso la traversata che ci porterà all’isola delle Frisone dal nome afasico: Skermonnikoog.

Il sole che si specchia vanesio sul mare
Il traghetto si lascia alle spalle una scia di schiuma per insospettire i complottisti,

Lembi d’orizzonte
inspiro il profumo del mare e le sfumature scure degli orizzonti nordici, probabilmente è questo il motivo per il quale viro il timone musicale su Bjork e mi lascio accecare dall’enfasi della navigazione. Ad essere sinceri anche il porto dell’isola olandese è abbastanza scialbo, grigio e indisponente ma la sensazione di “sbarco” mi affascina da sempre, così soprassiedo alle polemiche e passo un paio di minuti a gesticolare con un tizio che mi noleggia una bici e benedice il mio irreversibile partire verso. Dunque, c’è una strada per veicoli a motore che taglia l’isola a metà, per il resto sono tutte piste ciclabili accompagnate da panorami che non vi dico tanto non ci credete, un paio di borghi arredati a mo’ di villa ritratta su “Vivere Country”, viene da chiedersi se sia tutto reale o tutto sia reality.
Le Frisone sono rinomate tra gli osservatori di uccelli e, scrivendolo in italiano per amor letterario conservativo, mi rendo conto di aver abbracciato un pubblico dai facili costumi e dai bassi istinti, ma resto fiero sulla mia affermazione perché, da una delle postazioni sparse nei punti strategici dell’entroterra, ho potuto godere dell’estasi del librarsi di esseri meravigliosi la cui creazione non può che ricondurci ad un qualche Dio, altra spiegazione, onestamente, non mi sovviene.
Il silenzio che lascia cantare l’attrito dei battistrada sul pavè, panorami evasi dal National Geographic, fari,

Avviso ai naviganti
stagni popolati da creature dimenticate degne del bar di Guerre Stellari, stormi di uccelli che disegnano traiettorie geometriche in un cielo nel quale, alle tre di pomeriggio, già fa capolino una luna birichina ed egocentrica, il mare mite che suggerisce l’attesa, poi…il tramonto. Non pensavo esistessero così tante tonalità di rosso, non credevo che le risposte ai dilemmi della vita si rivelassero in sinfonie cromatiche, pagherò prima o poi per la mia incredula diffidenza nei confronti della Madre, so di meritarmelo.
Decido di tornare con l’ultimo battello, il cielo di lava copre il ritmo circolare dei pedali. Ssssshhhh, silenzio digitale come sottofondo allo scorrere in una scenografia impressionista, dirige il Maestro Rembrandt. A braccetto di neri canali posati su prati da Subbuteo avverto l’aria rinfrescarsi, tutto è pronto per l’apoteosi, la risposta a qualsiasi risposta, la mano dell’universo che si tende a me. Nell’assopito vuoto acustico, in un fragoroso crescendo, lo starnazzare di migliaia di uccelli accompagna il sollevarsi alle mie spalle di uno stormo denso e illimitato che rabbuia il tramonto e dipinge il cielo di infinite “V”, volano sopra di me, il cuore fibrilla, ho le vertigini ma non ho paura, il miracolo si ripete per due volte. Non ho mai vissuto un’emozione così destabilizzante ed allo stesso tempo chiara e definitiva, ho capito in quel momento che “Io” equivale a zero e la somma d’infiniti “Io” è sempre zero: nulla a cospetto dell’”Uno” della Madre Onnipotente.
Fermo la bicicletta al porto sgranocchiando gli ultimi scampoli di luce, tremo e sono irrigidito da fiumi di adrenalina che esondano nel mio corpo. A volte basta solo un momento per capire, senza complemento oggetto, capire e basta. Sulla via del ritorno mi lascio accarezzare dai versi di Battiato che sottile recita “Un oceano di silenzio scorre lento, senza centro né principio…cos’avrei visto del mondo senza quella luce che illumina i miei pensieri neri?”.
Ora sono perché so.