Quando quello diceva “non passa lo straniero”
secondo me intendeva “si fermerà un po’ qui”
ma se ti guardi intorno, il giallo, il bianco e il nero
che bell’arcobaleno, il futuro è già qui…
2014 – “Italopop” – Ally
Sui finestrini del pullman viene proiettato il tramonto sonnacchioso di una placida e suadente Praga, è malinconica la strada del ritorno, di qualsiasi ritorno. Se mi soffermo a riflettere, il nocciolo della questione non è tanto cosa stai lasciando oppure a cosa stai andando incontro, la malìa è insita nel verbo “tornare”. Eh sì, perchè si ha la sensazione di fare dei passi indietro nel proprio percorso evolutivo, si diffonde in tutto il corpo quella gelida sensazione di tassidermia della volontà che pare congelarti il cuore; chiudo per un attimo gli occhi, respiro a fondo, appoggio le spalle allo schienale e mi sciolgo nella deduzione che il ritorno sia una mera illusione. L’esistenza non lo contempla e l’universo segue un moto incontrovertibile, non è possibile tornare precisamente nello stesso luogo riverso sullo stesso momento, qualsiasi destino è un dannato groviglio d’infiniti rivolti verso il domani. Il ritorno, al massimo, può essere una sorta di riscatto nei confronti delle leggi karmiche, un perdono chiesto ed ottenuto che spiana nuovi percorsi evolutivi, l’immanente e il trascendente che fioriscono nel divenire: il ritorno sulla via che si era perduta.

Installazione al Berggruen Museum – Berlino
Il bus, silenziosamente, taglia le ciocche scure di una notte assopita, confortante, fascinosa. Lo ammetto, sto tornando a casa. “Cos’è casa?” mi domando, perso in un sovrappensiero autoipnotico. Parafrasando un consunto ma attualissimo adagio in voga durante gli anni della beat generation che recitava “in ogni posto mi sento a casa, ma nessun posto è casa mia”, deduco che l’ostinata convinzione di essere proprietari di un bene terreno sia il meccanismo che inneschi la follia lisergica del ritorno. Per molti è quasi impossibile, come scrivevo poc’anzi, accettare l’indelebilità di certi gesti, correggere una rotta destinata all’oblio, è decisamente più semplice mutilarsi l’anima recitando ossessivamente il mantra del possesso. E’ pensiero oramai comune che il metro per misurare la presunta capacità di ritorno non sia dato dalle nostre coscienze ma si evinca dalle nostre proprietà, viventi o meno, “mia figlia, la mia città, il mio gatto, casa mia, il mio paese, la mia macchina, i miei soldi…”. Per logica, quindi, il possesso è diventato il feticcio imprescindibile che infonde la parvenza mistificata di un ritorno ad una posizione di centralità nella vita.

Murale sulla East Side Gallery – Berlino
Al confine tra Germania ed Austria salgono quattro accigliati poliziotti dal fare marziale per controllare i documenti dei passeggeri, due persone di colore sono invitate bruscamente a scendere, probabilmente per problemi con i visti, il pullman riparte noncurante mentre quegli uomini bloccati in frontiera vengono sezionati a caccia di un pretesto qualsiasi. Con tutte le religioni in nome delle quali si uccide a questo mondo, nemmeno un Dio pare prendersi cura di loro, questa notte.

Particolare di murale sulla East Side Gallery – Berlino
Siamo arrivati a Bologna, mi sgranchisco le gambe e la schiena, mi stropiccio gli occhi e mi accendo una sigaretta su una panchina dell’autostazione. Persone, colori, confini, sangue, destini, adulti, bambini, soldi, preghiere, cuori, dignità, guerre, eroi, menzogne, compassione. Srotolo la pellicola di un film che va in onda ogni giorno da sempre e realizzo che la mia unica e confortevole casa è quel mondo senza recinti che, in ogni momento, mi ostino a sognare ed al quale, chiudendo gli occhi, posso comunque tornare.

Murale esposto alla galleria “Urban Nation” – Berlino