Nel 1987 avevo 15 anni e, impresso nella memoria come un tatù, ricordo che tornato a casa per cena dopo un pomeriggio trascorso tra pallone e “zanarine” (l’equivalente felsineo delle “paninare”) in minigonna jeans, camperos e calze di pizzo bianco, trovai un appunto di mia madre che mi ricordava di richiamare il mio amico Danilo. Danilo era un compagno di classe con il quale, assieme ad altri pochi reazionari, si condivideva la passione per l’hard rock, l’heavy metal, il punk, l’hardcore, il thrash metal e via dicendo: si era creato un intenso traffico di cassette con demo registrati in anguste cantine, live bootleg, album introvabili e ciarpame pirata vario. Il Sabato pomeriggio ci si trovava poi davanti all’autorevolissimo “Disco D’oro” per comperare vinili, scambiarsi notizie e, per i più grandi, organizzare serate a base di birra e rock.
Chiamo Danilo, dopo qualche chiacchiera di rito mi dice “sai…ho comperato un disco, secondo me è bellissimo, te lo metto su cassetta e te lo porto domani a scuola che vorrei lo sentissi”: quel disco era “Paid In Full” di Eric B & Rakim ed avrebbe influenzato la mia vita in maniera netta, per non dire che, da differenti angolazioni, continua a farlo, sebbene ascoltare e scrivere di rap a 48 anni sia considerato un sintomo della cronicizzazione della sindrome di Peter Pan.
A differenza del rap che si era sentito (in Italia con immensa difficoltà) in precedenza, l’approccio di Rakim alle brunite basi confezionate dal Dj Eric B era calmo e impassibile, la timbrica decisa, il flusso lirico di livello tecnicamente più complesso delle solite metriche, le rime interne evitavano l’effetto filastrocca al quale le rime baciate relegano, insomma uno sconvolgimento acustico, dovuto anche ai campionamenti funky, soul, r&B di Eric B, meravigliosamente traumatico.
Quello appena ascoltato fu il brano che inizialmente mi entusiasmò maggiormente, il mio walkman era rovente a furia di riavvolgere e riprodurre e tutto ciò causava una mia astrazione dalla realtà, quasi una dissociazione, non riuscivo più ad accettare la plastica facciata che si stagliava al di fuori delle mie cuffie. Gli scratches furibondi, il minimalismo del battito ma soprattutto quel flusso strabordante, ipnotico, quasi coltraniano di Rakim mi avevano rapito, un po’ come capita spesso con gli alieni.
Del primo dei tre album del duo niuiorkese (poi i due separarono le rispettive carriere senza mai riacciuffare l’apicalità apocalittica di “Paid In Full” e “Follow The Leader”) un altro pezzo che ha fatto storia è la seguente “I Know You Got Soul”, un tappeto funkissimo campionato da Bobby Bird e successivamente rallentato, sul quale Rakim smina della serietà a tonnellate, è difficile non battere la snicca durante l’esecuzione di questa sonata estremamente civica.
Per finire con “Paid In Full”, non si può non ascoltare quello che, remixato dal produttore Coldcut, divenne il loro successo internazionale ovvero la traccia che dà il titolo all’intero lavoro. Nel riascoltarla mi sono accorto che la so ancora a memoria e cantarla mi dà gratifica ora, immaginate nel 1987…
Potrei tediarvi con decine di sonate di strada dei miei due eroi, ma vi servo in penultimo un glassè di questa bollicina millesimata grand cru intitolata “Mahogany” con un battito aulico ed un flow a slalom di Rakim che ricorda le migliori discese di Alberto Tomba
Immagino che molti puristi del rock anni ’70 abbiano skippato tutti i video per fare in modo che la tortura finisca il prima possibile, ma sono convinto che i pochi che avranno letto ed ascoltato quest’articolo abbiano quantomeno aperto la loro mente verso differenti forme di musica e poesia (vi assicuro che le attinenze con l’hip hop sono davvero importanti) ed altri abbiano capito da dove sono state generate idee, modalità ed attitudini che, ad oggi, stanno conquistando il mondo.
Mi è gradita l’occasione per porgerVi cordiali saluti.
© 2+ 0 = 2 – 0 / lemiecosepuntonet
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