TERZA DOMENICA DI AVVENTO
Scioglie ancora tra poco sua essenza
calicanto schiudendo dorate
le corolle, scintille sui rami
nudi e morti nel gelo d’inverno
Sarà ancora, tra poco profumo
delicato ma forte, di vita
mai arresa, che porta l’estate
penetrante nei tempi d’inverno
Paolo dice che siamo profumo
di Colui che ci ha presi e ci salva
e che viene anche se non voluto,
luce vera nel buio d’inverno
Di che odora la vita mia tutta?
Di che odoro, io, giorno per giorno?
A chi sono rimando nel tempo
senza fede di notti d’inverno?
Di tristezza m’impregno e di stanco
susseguirsi di ciò che urla il mondo.
Vieni presto, stintigno io dentro
non lasciarmi da sola in inverno
© Judy Barton dal blog “Judy e Lyth“
Certo che le due coinquiline ed amiche del blog “Judy e Lyth” sono una coppia davvero assortita, sfornano con regolarità fragranti composizioni in un range assortito che tocca tantissimi topic, dall’elegia più assorta e liricamente ineccepibile di Judy Barton alle eclettiche cascate di lemmi di Lyth Karu, sta di fatto che le loro pubblicazioni steppano sovente il quartiere poetico delle carte carbone di LeMieCose. Uno dei più bei canti che ho letto ultimamente è questa “Terza Domenica Di Avvento” di Judy Barton, della quale c’è poco da commentare se non ammettere felicemente che instilla un ritmico senso di perfezione letteraria nella sua cadenza arpeggiata che scivola nei pertugi del pensiero, che riflette come uno specchio d’acqua l’autunno che sta per farsi inverno, le stagioni fredde del cuore, delle giornate corte che rabbuiano l’anima, che portano l’autrice a domandarsi “A chi sono rimando nel tempo senza fede di notti d’inverno?”. E poi…e poi…poi mi contraddico e vi confesso che passerei ore a contemplare questa perla, spolvererei ogni verso, curiosando nel “infinitesimo infinito” (cit. da “Scienza” di Lyth Karu) dello spazio tra una parola e l’altra, mi fermerei a bocca spalancata dallo stupore di fronte all’arrovellata pertinenza del desueto termine “stintigno” (stintignare: procedere a stento o di cattiva voglia), mi adagerei a cedere il mio tempo tra i calicanti che schiudono dorate corolle, metterei le edfons e, precipiterei tra i vorticosi versi di questa poesia lasciandomi cullare dalle note di Sören Madsen. (Filippo Fenara) @lemiecosepuntonet