Non è detto che sonorità synth pop laconiche, malinconiche e, talvolta depresse, siano un passo sbagliato per chi le crea: ricordiamoci del primo album (probabilmente il più bello) dei Morcheeba “Who Can You Trust?” che li fece conoscere al grande pubblico. Ecco, i Pale Springs richiamano alla mente proprio il suono dei primi lavori del celeberrimo gruppo britannico, forse con un po’ più d’angoscia dettata dai tempi che stiamo vivendo. L’album “Dusk” è stato registrato completamente in un appartamento a Los Angeles, le voci all’interno di un armadio per isolare il più possibile il microfono dai rumori esterni, con liriche rispecchiano l’ingiustizia dei tiranni e dei loro cani da guardia, sfiorano l’incertezza verso il domani e il dolore per le tante vite gettate al vento. La somma di tutte queste difficoltà e negatività ha comunque dato alla vita un lavoro etereo, siderale, rilassato, che si presta molto bene alla lettura e a momenti di “stacco”, con i cinguettii al rallentatore della cantante Emily Harper Scott vera protagonista e leader della narrazione, quasi un’ordinata spoken word, poesie grandiosamente recitate sopra tappeti minimali e lineari. Chiudete gli occhi e lasciatevi trasportare dal pathos di “Crystalline”…
Capito cosa intendevo? Siamo tutti stanchi, questo lungo periodo ci sta sfibrando e credo che ogni tanto sia necessario aprire un bel libro di poesie di Manuela Di Dalmazi (alla quale dedico amichevolmente questa recensione), accendere un paio di candele e sognare, sognare e sognare ancora, perchè sarà questa l’unica strada per la salvezza. Statemi in lume (di candela) (Filippo Fenara)