L’hard rock è vivo e gode di ottima salute. Me l’ha rivelato il suono poderoso dei Dead Daisies in un deja vu che mi ha ricordato quando, adolescente, camminavo per le strade di Bologna con “Fire Woman” dei Cult e il mio cuore traeva vulcanico magma dalle chitarre taglienti, dai bassi lardosi e da batterie percosse con tecnica e fervore. Il discorso de “l’hard rock è morto” è prettamente giornalistico, l’accrescere geometrico dei generi musicali ha fatto sì che le roots venissero frammentate in innumerevoli sottocategorie in virtù di un’inutilmente appesantita recensionalità autoreferenziale. Beh, io ad ascoltare questo “Holy Ground” dei The Dead Daisies ho provato una gamma importante di emozioni, ho notato una varietà compositiva invidiabile ed un livello tecnico raro e quando c’è tutto questo non mi cala se la chiami musica classica o Hip Hop, io lo caccio sul mio walkman cerebrale e me la godo come un bimbo in un negozio di caramelle. Invece di perdermi in una suite di onanismi sinaptici alzo la manopola del vol a manetta e mando in onda “Like No Other (Bassline)”. Attenzione, materiale altamente infiammabile.
La superband australiano/statunitense ha riunito durante la sua carriera musicisti di spessore con un pedigree da inchino, ora si muovono in quartetto dove il bassista cantante Glenn Hughes pare essere il mattatore, speriamo che questa pandemia passi presto per poterli vedere esibire anche nei live shows. Nel frattempo ingolliamoci un’altra sorsata di lava con la power ballad “Far Away” che, in un crescendo spettacolare ci porta dalle rive dell’oceano fino al lato oscuro della luna.
Dopo l’ascolto di questo album nuovo di zecca non potrete più dire che l’hard rock è morto, semmai siete defunti voi. Una passeggiata fuori dai miei standard laicabili mi ha fatto bene, come andare in campagna dopo un anno passato sotto una cappa di smog urbano, un ritorno alle radici con la pelle d’oca che intirizzisce i peli delle braccia e scivola come un cubetto di ghiaccio lungo la spina dorsale, ragazzi questi sono i The Dead Daisies e c’è poco da recensire, non ce n’è. Statemi in luce. (Filippo Fenara)