Condividere e collaborare in ambito artistico, crea un cordone ombelicale che fa avvertire sensazioni parallele quindi, dopo tante carte carbone stilate delle sue architettoniche poesie, non posso negare che la recentissima pubblicazione di questo debutto editoriale di Maria Grazia Pellegrini non abbia suscitato in me una combustione d’euforica felicità per il raggiungimento di questo suo primo, importante, checkpoint. Senza arrogarmi meriti che non mi spettano, ammetto anche di covare una teporosa soddisfazione di “essermi accorto” del suo talento in maniera talismanica, che m’imbottisce un filo l’ego, sperando di fungere da buona stella anche per tutti gli altri autori che stimo e seguo.
È risaputo, soprattutto dai mariti accompagnatori nelle infuocate sortite domenicali all’Ikea, quanto le Signore siano amanti dell’arredare spazi, donare armonia agli ambienti, giocare con luci ed ombre, creare invisibili sintonie tra statici oggetti. Ecco, Maria Grazia (quello che sto per scrivere l’ho evinto dalle sue poesie e non è frutto di confidenze) ad un certo punto della sua vita – immagino – si sia trovata svuotata dell’anima, senza luce e, per giunta, chiusa fuori da sè stessa. Lancinante. Però ha reagito attraverso la scrittura e, piano piano, i suoi componimenti sono diventati suppellettili, tende, soprammobili, lampadine ed oggettistica d’arredo che Luna (il suo pseudonimo) ha collocato con femminile dovizia e razionalità a colmare quel vuoto che l’avrebbe altrimenti divorata. Ma si sa, nemmeno il più feroce dei demoni può sconfiggere una Signora in stato di trance allestitiva interiore, anche se i primi momenti sono quelli nei quali la guardia era ancora abbassata e il dolore sgorgava copioso dai suoi versi.

Ormai quello non era più un open space abbandonato, cominciava a prendere le sembianze della casa nella quale Maria Grazia avrebbe potuto cominciare a vivere, rientrò a contatto con la natura, la sua e quella che ci dona la vita, i suoi versi s’ammorbidivano ogni volta di più e il farsi leggere era come uno specchio interiore per capirsi e capire gli altri, ritrovare fiducia senza necessità di appoggiarsi pericolosamente a persone di polistirolo e, in questo, è stata anche aiutata dalla sua tenacia, dalla sua lucida poesia, dalla sua corazza fatta di versi, lemmi ed immagini ogni giorno più nitide.

Il “nido” era pronto e, come a suggellare il termine di questa grande operazione liricistica, introspettiva e psicologica è arrivata la proposta per la pubblicazione della sua prima silloge “Il Risveglio Del Raggio Ramato”, un’insieme di poesie che dà forma ad un romanzo – basato su fatti reali – con un lieto fine che lascia spazio alla continuazione di un percorso lungo fatti che appartengono un po’ a tutti ma diventano speciali filtrati dall’anima luminosa di Luna.

Luce, proprio così l’autrice riassume la genesi della sua rinascita, luce che mostra, luce che rende i nostri passi certi, luce nella quale, un giorno staremo tutti. (Filippo Fenara)
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