Quanto, viaggiando, ho introiettato in me della mistica visione dei mari del nord Europa, quella brezza che mette a dura prova gli zigomi e che spalanca le narici come vele ad assimilarne le fragranze, quanto ho investito in pensieri ottemperati da quei venti taglienti, quanto ho speso di me stesso durante quelle estasi sensoriali. È tutto ancora qui in me ma, nella necessità animistica di un richiamo rievocativo, “Cairn” di Fergus McCreadie è il non plus ultra, un viaggio scritto in jazz attraverso la nordicità latitudinale, un tepore in questo freddo inverno, una brace sui pensieri surgelati della quotidiana attualità. Il pianista scozzese, in trio con David Bowden e Stephen Henderson, ripercorre le orme indelebili degli E.S.T. e dei Bad Plus proponendo un jazz impressionista d’avanguardia tranciando il cordone ombelicale con le radici più “black” del genere per riproporsi come cronaca acustica prettamente europea. Ciò non toglie nulla all’internazionalità di “Cairn”, il cui ascolto è un viaggiare attraverso l’Irlanda, la Scozia, la Danimarca, la Svezia, raccontandone il pathos e le intirizzite nudità con tecnica e gusto musicale non debordante di assoli ma ordinatamente armonico e dissonante. Vi servo in tavola proprio la traccia iniziale, “North”, un capolavoro d’artigianale musicalità…
Siamo in prima classe deluxe, eh? “Cairn” è un album che ascolto spesso perchè i pianismi di Fergus McCreadie mi ricordano l’arte moderna, la pulizia descrittiva, il candore esegetico. Spero lo sia anche per voi, intanto vi linko i suoi riferimenti, vuoi mai che da cosa nasca cosa, nell’arte tutto si può, come in amore e nelle fottute guerre. Statemi in pace e in luce. (Filippo Fenara)