Dopo la recensione della sua notevole silloge “Novembre” che ancora ho il “vizio” di sfogliare per coglierne sempre nuovi luccicanti particolari, torno a scrivere di Massimiliano Giannocco, autore di una suggestiva poesia inerente al suo rapporto con il mare. Di questa impronta lirica mi ha subito colpito l’equilibrio “attivo” della narrazione, ovvero l’insieme delle forti immagini che addizionandosi risultano in una scenografia azzeccatissima e riflessiva dell’onnipotente ed acquietante visione di un mare calmo. Altra peculiarità di questo componimento, ovviamente nell’accezione non discriminatoria ma da modesto ed assertivo esegeta quale tento di palesarmi, è la mascolinità non aggressiva attraverso la quale vengono rese le immagini, una rarità nell’ipocrisia del “politicamente corretto” che demonizza l’essere uomini, una variabile interpretativa che richiama altri tempi, senza però dischiudersi in schemi mentali scontati o già visti. Un acuto apicale di Massimiliano Giannocco, che spicca potente nel piattume della produzione poetica industriale indotta dal presenzialismo social. Statemi in luce. (Filippo Fenara)
FIGLIO DEL MARE
Perché in fondo del mare
io mi sento figlio
e amo confidarmi con lui,
quando la spiaggia
è un tappeto silenzioso
e la cenere del mio sigaro
si posa, per un attimo, su di essa,
prima di volare via.
Il sapore salmastro
si mescola al tabacco,
mentre ascolto
il canto ritmato delle onde
e osservo i piedi blanditi
dalla spuma benevola.
In questi momenti
il vento di ponente
rende sapidi i pensieri
e così il mare
mi insegna la vita,
il valore di essa,
perché in fondo il mare
è un padre benevolo,
che non si adira,
ma sussurra saggezza
in un semplice,
cadenzato sciabordio.