Amore e morte, cos’hanno in comune? Il bianco ed il nero che, come nel simbolo del tao, non possono essere se non contemporaneamente? I poli opposti di un magnete che generano energia vitale? La luce del sentimento che s’alterna all’oscurità della perversione nella fusione di due corpi? Un’esteticamente aggraziata e concettualmente delucidante risposta la si trova tra i versi di “Quadri Notturni” del poeta Carlo Molinari, ultimamente molto attivo e presente nel contesto della poesia contemporanea italiana. Nel continuum del suo tracciato creativo è sempre in grado di rigenerarsi “switchando” le diverse angolazioni con le quali il suo sguardo curioso ed attento coglie nuovi particolari del rapportarsi sentimentalmente, mettendo in dubbio le ovvietà che si sprecano quotidianamente sull’invece misteriosa luce buia dell’amore, alternando con vocaboli antagonistici flash d’idillio etereo ad altri di sprofondo diabolico e depressivo. Ora sarete voi, leggendo questi solchi, a confermare o confutare la mia disamina emotiva, fermo restando il coefficiente aulico che Carlo Molinari riesce a conferire ad ogni sua composizione. Statemi in luce, ma non temete il buio. (Filippo Fenara)
QUADRI NOTTURNI
Con la mia penna di sangue
mi sfinisco ai declivi del cuore,
un crudo crinale da dove sgocciola
l’immenso, il crepuscolo carminio
e ogni ricamo del tuo sacro viso;
là non c’è confine, né pena, né fuga
e posso dipingere ogni seme e tremore
mentre il sole s’interra nella mia tomba
con pennellate e sferzate senza pudore;
oh mia dolce guerriera, stanotte
t’ho affrescata con pazzia e nirvana
nel buio più ossessionante e orrendo,
tu m’hai amato, hai schiuso le tue gambe
per donare alla luce tutta la mia luce,
e abbiamo lacrimato baci eterni
tra le grida asfissiate dei defunti.
Noi siamo arte, forse siamo anche amore.