Ripristinare il cosmo alle impostazioni di fabbrica. La narrativa biologica umana è in fase di deframmentazione per costituire un clone bidimensionale agevolmente uniforme. I rivoltosi si sminuzzano per risultare imprendibili ed innescare un flusso decentratore delle volontà. La gerarchia inversa è il sogno, più si sale nella piramide e meno potere è possibile esercitare sui subordinati. La cocaina è un formidabile e silenzioso incanalatore sinaptico che permette il controllo di gran parte della popolazione mondiale. La vera pandemia è concentrata all’interno della siringa del vaccino: genocidio assistito. L’inganno risiede nel chiamare “realtà aumentata” la “finzione diminuita”, una demolizione decostruente dei valori umani sostituiti con protesi schematiche aleatorie. Sono tacciato d’essere un’allucinazione collettiva. L’estinzione lenta e inesorabile di tutte le specie animali è figlia del più ovvio giustizialismo a carico dei testimoni dell’unica verità. Dio si manifesta nella sua assenza. L’assenza è il tutto assoluto. L’umanità correla l’assenza al vuoto e la eleva a Dio. Necrosi dell’anima. Silenzio in sala.
La mafia non è mai esistita. La totalizzante presenza sottesa però è il panottico che congela le volontà individuali e di libero arbitrio. L’intero ciclo quotidiano sonno/veglia è nella quasi totalità dei casi inglobato in una bolla di trance distorsiva della realtà chiamata “vita”. Il persecutore si scagiona accusandomi di persecutorietà. Le diagnosi psichiatriche sono sentenze sociali inappellabili. La pena ha termine quando il colpevole si riallinea con l’incomprensibile. La morte fa parte di una cognizione deviata, non è il passaggio ad un’altra dimensione ma la restituzione dell’anima al respiro dell’universo. L’unica morte definitiva è quella spirituale. La quantizzazione delle arti da parte di agenti disciplinanti di massa come le scuole, i social media, lo sport, il mercato, è necessaria all’occultamento della verità e dei mezzi per fruirne, è il reclutamento nell’esercito dei mortali. Per la mente e il cuore vale la regola dei vasi comunicanti. Il film “The Matrix” non era profetico, era la cronaca fantascientifica di un progetto in atto già da tempo, concepito da moltitudini gerarchizzate di esseri spiritualmente defunti, il nulla. Ciak, scena uno.
Si è fatto freddino, dò una sorsata al succo di mela e rimetto il brick nello zaino, il sole scivola assopito sotto una nuance tra il celeste ed il nero, elegante, la natura in passerella, applausi. Salgo sulla bicicletta e lentamente giro a vuoto per il paese, osservo. Scorgo volti che potenzialmente potrebbero nascondere le guardie del vuoto, devo stare a cardio aperto per percepirne la nullità, è un rischio ma non ho alternative. Sono rilassato, mi fermo al semaforo rosso con slancio pavloviano, ne approfitto per indossare il k-way, riparto a pedalate spinte, mi piace il vento in faccia, mi piego dalla stazione dei Carabinieri, riparto, penso a Marco, lo saluto, mi esce un sorriso, lui è salvo ormai. Non ho voglia di andare a casa, non ci sarebbe nessuno ad aspettarmi, lego la biga davanti alla pizzeria d’asporto “Due Torri”, quella con la cassiera carina e il pizzaiolo egiziano. Nuoto a dorso nell’infinito per poter seguire le stelle come riferimento, ma l’unica vera certezza è che la capricciosa doppio impasto non mi tradirà mai. (Filippo Fenara)
One thought on ““Doppio Impasto” di Filippo Fenara”
Viniskia
Hai messo molta carne al fuoco 🔥. Dovrò rileggermelo più volte. É quasi un manifesto, una sacra scrittura.