Far brillare pianti inesplosi
nel fragore del trasgredito
in un valzer a compasso
extra zona sconforto
in cui stanzio represso.
Confesso reiterate violazioni
al non concesso
non mi rimetto al congresso
abiuro il giudizio convesso
del politicamente corretto
il cuore evade dal petto
ed atterra pulsante
sull’angolo della sua bocca
che fiorendo si schiude
e in un sorriso
il divieto elude.
Poesia scritta all’interno dell’iniziativa di fermento letterario collettivo su Instagram #proibito al quale partecipano, oltre a me, l’ideatrice e promotrice @ipensierinparole, @cataldiluisa, @inosservatapasso, @essereneiversi e @merenernellanotte.
Lunedì e Martedì della prossima settimana, in due puntate sempre alle ore 21, stilerò e manderò in onda un compendio dei 6 scritti che matureranno da questa ribellione intellettuale, brevemente commentati. Restate sintonizzati! (Filippo Fenara)
Ammetto che sia assolutamente paradossale dopo il lirico solforico di Dino Veniti, contrapporre il basico aulico della dolcissima Inchiostro Di Gelsomino, non prolifica come tante sue “colleghe” ma precisa nel cogliere bouquets di cuori con i suoi versi cullati dalla semplicità, da una sensibilità particolarmente ramificata e da una generosità empatica rara. La spontaneità germogliante di questa autrice ha il potere neurolettico di un’olazapina in versi, addolcisce, rasserena, illanguidisce, cura e, soprattutto, non ha nè bugiardino nè controindicazioni. Non agitarsi prima dell’uso. (Filippo Fenara)
Osservo l’angolo
della tua bocca che succhia il dito
tra chi lo fa sentir protetto.
Sei concatenazione d’amori
tra le pellicine delle tue dita
che strofinano sopra sotto sopra
le mie unghie d’anima.
La apro a te
che sei la mia bambina
che gioca a far la donna
per poi nascondere
le lacrime macchiate di mascara
negli angoli dell’abbraccio mio
stretto a protezione.
Tu, coraggio tutto cuore che mi manca.
Io, razionalità anestetizzante
di squarci di vita da ricucire.
Sei ago ed io ditale
su un filo rosso di vuoti che ci tiene unite.
Ma io non sono capace
a cucire i miei vuoti senza i tuoi
a camminare senza attutirti le cadute
a guardare le mie dita senza leggerci di te.
Perché tu mi hai sottratto la sofferenza
dell’infanzia, germogliandola con la tua gioia ribelle a semi.
Perché tu mi hai resa somma di due cieli
in cui il sole e la luna
si specchiano
senza sapersi eclissare.
Perché amarti
è imparare a gattonare
sull’altra riva di me stessa.
Se non l’avesse scritto con caustica provocatorietà al vetriolo Dino Venìti, probabilmente, prima o poi, ve l’avrei detto io. Ma poi…siamo sicuri che questo articolo in fuoripista del talentuoso ed imprevedibile blogger dall’identità ad assetto variabile sia una provocazione oppure, come penso io, si tratti solo di un’asettica e imparziale disamina della pochezza di valori che circola nel mainstream? Tutta questa positività venduta a peso, il grottesco intrattenimento mistificato di massa, l’assuefazione all’idiozia, l’abitudine allo scontato e l’autolivellamento verso gli sprofondi culturali sono il vero male, Dino Venìti, incurante dell’effetto boomerang, scende con un articolo senza compromessi e senza mandarle a dire. Non manca mai, in qualsiasi modo, di stupirmi. (Filippo Fenara)
I social network sono ormai letteralmente infestati di frasi motivazionali, citazioni di Fulatino de Tal, Menganito de Cual e Juan Nadie attribuite erroneamente a Gandhi, Steve Jobs o a quel fottuto onnipresente alcolizzato di merda di Bukowski. Quest’altra orrenda pandemia ha prescritto, da troppo tempo a questa parte e ben prima dell’avvento dei social, l’obbligo di “pensare positivo” e di rimuovere ogni dolore esistenziale, imponendoci di dare un’etichetta alle emozioni e rendendoci di conseguenza incompleti e scissi, grigi, falsamente sorridenti mentre l’anima strepita e implora pietà, esigendo la libertà di piangere e di incazzarsi, strafatti come siamo di ottimismo posticcio, al servizio di una produttività portata all’estremo e di un perfezionismo maniacale che alla lunga saranno causa, nel migliore dei casi, di diarree, orticarie, gastriti e depressioni croniche.
Fermiamoci per un momento a pensare alla degenerazione dell’arte. Questa rimozione di massa del dolore ha avuto, tra le tante conseguenze, la produzione di contenuti artistici mediocri, banali e squallidi. Chi ha prodotto contenuti immortali è sempre stato caratterizzato da infanzie traumatiche e profondamente pervaso da tormenti inesprimibili e da un’inquietudine esistenziale di fondo. Pensiamo a Jim Morrison, Jimi Hendrix, Kurt Cobain, Chris Cornell, Janis Joplin, per citarne alcuni del mondo della musica, pensiamo a Vincent Van Gogh, volendo menzionare un pittore lacerato da uno strazio indicibile. Costoro si sono letteralmente lasciati andare, si sono assunti la responsabilità della loro autodistruzione, in certi casi dando un taglio finale netto o, in alternativa, per opera di uno stillicidio cagionato da un abuso di alcol e droghe. Bene, siamo grati a costoro e alle loro depressioni del cazzo, per la grandiosità delle loro opere e del privilegio di poterne usufruire.
Pensiamo ora a ciò che resta al giorno d’oggi, invece. Figli di papà schiavi del consumismo con una videocamera acquistata su un qualsiasi portale di e-commerce, ed eccoci circondati da robaccia da voltastomaco come Casa Surace e The Jackal. Ragazzetti che dovrebbero tornare a frequentare le scuole dell’obbligo anziché tentare una carriera nel mondo della musica ed ecco a voi Il Volo, Benji e Fede, Gio Evan del cazzo, pronti a tormentarci nel prossimo festival di Sanremo. A questo si aggiungano i fotografi della domenica con relativo account Flickr e Tumblr, reduci da inutili costosissimi corsi, muniti di ridicole reflex, in perenne competizione tra chi predilige il marchio Canon e chi il marchio Nikon, che immortalano banali tramonti e si sentono novelli Cartier-Bresson. Per non parlare, infine, dei poetastri da quattro soldi che parlano di fiore cuore amore, vanno a capo senza criterio convinti di adoperare correttamente l’enjambement, totalmente a digiuno di metrica e di figure retoriche, nel vano obiettivo, scontatissimo, di attirare fica, lemma che, in questo caso, sto adoperando come sineddoche.
Noi tutti auspichiamo che questi ultimi altro non siano che fuochi di paglia che prima o poi cadano in miseria, ma per intenderci ed essere molto chiari: questa mia invettiva finale contro i presunti poeti da social non è affatto un mio tentativo di emergere. Al contrario, ritengo le mie poesie velleitarie, eccessivamente e forzatamente barocche e criptiche e, ogni volta che le rileggo, me ne vergogno e mi faccio schifo.
Vi invito pertanto a continuare come avete sempre fatto: a non mettere nessun like ai miei versi ridicoli e, possibilmente, anche a smettere di seguire questo patetico blog, in modo che possa tornare a fare il mio lavoro di esorcista senza distrazioni e continuare a umiliare Ilario ignorandolo con i miei silenzi.
Blog: Dino Venìti: https://dinoveniti.com/
Profilo Instagram: @dinoveniti
Profilo Facebook: Dino Venìti
Falangi intirizzite
devìano a lato
spremuta d’occhi salmastra,
deriva liquida,
accesso negato,
nessuna connessione,
credibilità abortita.
Sento il distacco
di compiuta infedeltà
puzza d’altrui,
carne all’incanto,
abile trapezista
feto dell’inganno
contorta nell’intrigo
che mi sta dilaniando.
Celebro l’idea che un giorno un’immagine come questa non potrà più destare alcun tipo di reazione che non sia un semplice – bravi, siate per il neonato fari che lo aiutino a diventare ciò che è. Dategli da leggere libri di letteratura, portatelo con voi a sciare, nuotare, scarpinare e catturare con i sensi e i neuroni ancora in nuce tutta la magia che circonfonde la realtà in cui si trova già da ora a doverne interpretare le frequenze. Allenatelo ad armarsi di lenti focali in grado di cogliere i punti di vista altrui, unici vaccini capaci di contrastare lo strabismo che ingenera i peggiori pregiudizi. Fatelo pure incespicare nel magma degli impulsi sessuali quali che siano, purché in lui/lei non venga mai meno la sacralità del rispetto nei confronti dell’altra persona. Istruitelo sulla storia della morale per come si è evoluta dai mitemi di un tempo ai dogmi ancora imperversanti non solo in Medio Oriente, ma anche in un Paese come il nostro sì saturo di invidie inquisitorie e ipocrisia. Dategli nozioni di etica civile e fategli mirare l’universo. Fatelo crescere in un ambiente che lo stimoli quanto basti per sentirsi forte, fiero e consapevole della propria somma e ineguagliabile bellezza. –
Kennyflowers è un giovane cantante di new soul che ho conosciuto tramite Instagram. Il suo lavoro del 2019, “Joat”, è una consequenziale (soprattutto se lo mettete in replay) vibrazione colorata e positiva per tutti i 24 minuti di durata, surfati dalla voce vellutata e armoniosa del performer statunitense che si adagia sulle onde spumeggianti di grooves imbellettati da lucidi pianoforti e synths, comunque tendenti alla semplicità dello swingato ed allegro risultato finale. Vi metto in onda un’impronta del suo disco dal titolo “Hard To Get” (in collaborazione con l’altrettanto brava vocalist Amare Symonè) e vi lascio i links a mia disposizione per entrare in contatto con questa solare realtà che funziona meglio – e con meno controindicazioni – di un antidepressivo. Statemi in luce!!! (Filippo Fenara)
Mi ridesta il corriere
consegna un mazzo di spine
da parte della mia ex,
ringrazio con un conato
chiudo col passato
e con quella sorta di T Rex
il caffè bruciato del disconto
è pronto,
denso come petrolio,
accarezzo il gatto contropelo
lui mi graffia l’avambraccio,
sanguinante taccio
spaccio pensieri al grammo
spammo il web
con lo spasmo che burna in me
m’affaccio dal terrazzo
per assistere ad un alba del c***o
se fossi un poeta avrei già postato
ma sono un accatasto di devasto
che si offre in pasto
al solito tudei d’impiastro,
Fox dice che è meglio se m’ammazzo
calzo le snicche
e scendo nella calle
intravedo solo grosse palle
che come Fidel
col mio verbo castro.
L’album di Observe Since 98 dal quale ho estratto il brano che accompagna quest’emetica elegia lo trovate recensito qui.
Durante queste ultime feste si è giustamente dedicata alla sua famiglia, lasciando uno stuolo di orfani della sua accecante creatività. Tornando, ha dato fine alla snervante astinenza pubblicando articoli inerenti l’arte pittorica, poesie, ospitando altri autori nel suo blog e regalandoci la chicca che state per leggere, figlia dei suoi vent’anni, nei quali si sentiva a suo agio nello scrivere in francese, già con una freschezza e profondità che tuttora la caratterizzano. L’anima di Matilde non sembra essere interessata dallo scorrere del tempo, questa composizione ne è la prova, ha sempre cavalcato un immaginario docile, dolce, profumato e sentimentale, il suo talento è evidentemente genetico ed innato, basta leggerne i versi. Vi lascio al flebile rollio di queste meravigliose parole che ho lasciato anche in lingua originale per i francofoni, seguiti dalla splendida traduzione in italiano che vi obbligo a leggere con amore e cedevolezza. (Filippo Fenara)
Je suis ici,
entre la lumière
et les feuilles,
sous la tonnelle
du jardin aux citrons,
et j’attends ton retour.
Seule avec l’écho
de mes mots,
je voudrais entendre
les tiens.
Telles des épingles
de petites larmes
me piquent aux yeux
fatigués par l’attente.
Attente vaine, sans fin,
oxygène et miel,
eau qui tombe
et dégouline
sur les toits
de mon âme.
Sono qui,
tra la luce
e le foglie,
sotto il pergolato
del giardino dei limoni,
e aspetto il tuo ritorno
Sono sola con l’eco
delle mie parole
e vorrei sentire
l’eco delle tue
piccole lacrime
come spilli
pungono i mie occhi
stanchi per l’attesa
in questa attesa vana
e senza fine,
ossigeno e miele,
acqua che si abbatte
e sgocciola sui tetti
dei miei pensieri
Ho perso la testa per un album di rap. E che rap. Roba sporca, di bassa fedeltà, campioni blues che si mischiano con beats interferiti da fruscii, flussi lirici faticosamente a tempo slacciano rime senza fronzoli, raccontano storie che non trovi sui quotidiani, la difficoltà dell’esistenza vissuta dal punto di vista civico e pedonale, echi di voci di vecchie canzoni escono da roventi MPC per riversarsi negli stampi di un album imperdibile per gli amanti del genere. Ovviamente sto parlando di “Royaume Du Sauvage” di Observe Since 98, emsì dalla fine dei ’90 fino al 2002, anno nel quale si ritirò dalla scena, per poi farvi ritorno nel 2016 con un’etichetta di rap underground nuova di zecca, la “Loretta Records” e nelle vesti di produttore musicale. E che produttore. In questo suo disco ospita numerosi e talentuosi rappers che, dopo un primo ascolto ostico, conquisteranno le sinapsi degli hip hop addicted. Sgancio sull’obbiettivo la prima bomba, “No Shame” che tra tappeto e cavaliere lirico (Unorthodocks) non saprei cosa sia meglio.
Ciccia fresca frollata nel freezer, roba da intenditori. Ora passo al secondo ascolto di questo articolo, la dirtyssima “Dos Equis For Eyes” con la featura al micro di Nino Graye, John Creasy e Che Uno con tricks poetici in castillano e campioni di flauto e pianoforte che ne fanno una favola senza lieto fine ma con un robusto durante.
Non saprei come spiegarvi, ma le tonalità di grigio di questo album sono un azzeccato pendant con la gente comune e su di me hanno un effetto opposto: un po’ come quegli album da colorare per bambini, le zone di vuoto che questi suoni circoscrivono diventano spazi mentale da colorare liberamente con i propri sentori. (Filippo Fenara)
I fatti accaduti recentemente a Washington hanno solo aumentato la dose di Biochetasi che assumo quotidianamente per tollerare la nullaggine che anima quest’umanità in avanzato stato di decomposizione. Peggiorativa è stata la democrazia da social che ha permesso ad imbecilli, avvoltoi, scrittoruncoli prezzolati, influencers subnormali, di dire la propria fasulla opinione e di schierarsi pro o contro, come se l’idiozia fosse divisa in due fazioni. Per fortuna c’è Ettore Massarese, che con una manciata di versi “di pancia” e il suo sconfinato vocabolario emette una sentenza definitiva su questo grottesco abominio che, più di un attacco alla democrazia, assomiglia ad un offesa all’intelligenza. Dimenticate quello che hanno spiattellato sugli schermi i TG, scordatevi dei boriosi articoletti usciti sui social e leggete lentamente i versi di questa poesia: capirete che questo è solamente uno degli ultimi avvertimenti prima del tracollo definitivo dell’umanità ed Ettore Massarese ne è cronista rivelatore di lusso. (Filippo Fenara)
Fragile pazza folla
bieca di morte corolla.
Cimiteriale
è il tuo osceno carnevale,
un Halloween d’accatto
e non dolcetti o caramelle
ma son pallottole il riscatto.
Sei grumo di fango
in questo inverno infernale
catastrofica milizia
quanto infingarda e banale.
Partorita sei d’antico ventre,
seme mostruoso e fecondo,
la cui copula da sempre…
stupra e infetta il mondo.
Scopi nel letto putrido
del “sonno della ragione”,
del decrepito occidente
sei l’immarcescibile infezione.
Grazie ad un assist della sempre gentile Luna aka @anima_inversi mi sono felicemente finalizzato sul gustoso profilo Instagram di Francesco Minichini aka @jodelaki, sorprendendomi di quanta istantaneità e ritmo riesce ad imprimere nei suoi scritti, sia che cavalchino un formato accademico, sia che vertano più alla slam poetry o alla spoken word. Il suo stile ricalca un po’ la “missione” di Le Mie Cose di creare pacificamente un intreccio tra la strada e l’elite dell’alta poesia, per cui sono entusiasta di diffondere, con il necessario consenso, il suo mood per quanto mi sia possibile, sperando che questa nostra collaborazione si protragga nel tempo a venire. Per oggi vi presento la sua “Il Bene e Il Male” (titolo affibbiato da me per motivi “editoriali”), componimento emblematico del repentino transfert che avviene dall’anima di Francesco Minichini direttamente alla penna, senza apparentemente essere filtrata da troppe revisioni e correzioni che ne comprometterebbero la delizia dell’improvvisazione. Augurandovi una buona lettura, mi raccomando di seguire il succitato scrittore sul suo profilo Instagram di cui vi lascio il link in calce alla poesia, converrete con me che ne vale assolutamente la pena. (Filippo Fenara)
Dicono quattro mura
facciano una stanza
anche se al tocco del tatto
perdono dote e sostanza
d’estate sembra neve
d’inverno sembra sabbia
gli antipodi fanno corazza
Eppure dicono che l’eco
corra di stanza in stanza
e si senta più a casa
la voce: difficile s’arrenda
anche se non ascoltata
E sul tavolo c’è una virgola
di miele, per voci rauche
che appena la goccia si
gira, fan sù col bicchiere
D’altronde: qualcuno di noi
l’ha davvero capita?
La differenza stessa
tra il male ed il bene?!
Naufraga
di coscienza altrui
//annaspo.
Piglio il daspo
da me stessa,
//ci ricasco.
Pronta, mai pronta al fiasco
in un lasco damascato
//mi rilascio.
Divina mascolina,
giro la carta,
//sono un asso!
Sopra un vassoio,
denudata, bevo fuoco
//sono ghiaccio.
Calpesto tutto quel che dico
e che taccio
//sono corona di spine all’addiaccio
Infine
//è uno strazio.
Pagare questo dazio,
rastrellare ogni spazio
//@sentirmi viva.
L’ipsilon rabdomante vibra
davanti a una sorgiva.
Ma è kryptonite psicoattiva.
//Non ho mai voluto farti del male
Scrive tanto e non sbaglia un colpo. La gamma di contesti moltiplicata per le innumerevoli nuances di colori che affronta La Eli fanno di lei una scrittrice difficilmente categorizzabile, un’anima sfuggente, una creativa incredibilmente versatile, commercialmente ingestibile e, proprio per quest’ultima peculiarità, meritevole di attenzioni importanti e approfondite. Mi ha danneggiato le coronarie sfiorando il tema dell’eros in “viVERSI“, si è elevata a cyber amazzone nella perentoria “Pixels“, ha messo in campo il suo lato ironico nella nostra collaborazione “Tripla X” (come dimenticare lo slogan “Ti slogo col pogo”?), ci ha regalato calorosi “Buongiorno!” ed ora…una struggente buonanotte. Fosse per le sue splendide ed evocative parole dormirei sonni tranquilli, ma un tarlo che mi corrode i pensieri mi terrà sveglio: com’è possibile che La Eli non sia ancora stata incoronata come una delle più interessanti autrici italiane emergenti? (Filippo Fenara)
Se dovessi scrivere una biografia romanzata di Rita Coda Deiana, l’intitolerei “L’invidia Del Cuore”. Perchè l’invidia non è un buon sentimento, ma questo particolare caso rappresenterebbe la classica eccezione che conferma la regola. Seguire le sue impronte liriche, il suo esempio morale, la sua dolcezza, la sacra liturgia del suo sentire, non può che essere la strada giusta, il percorso che la poetessa sarda spiana con altruistica abnegazione perchè il suo cuore, appunto, è a senso unico, il senso del bene. Trovo inutile e presuntuoso da parte mia commentare i suoi scritti, cerco solamente, nel mio notturno, artigianale, modesto lavoro, di diffondere il più possibile il suo verbo perchè ho la certezza oggettiva di fare la cosa giusta. Rita Coda Deiana è un raggio di sole che perfora il buio di questi tempi e dona speranza a chi ha perso il senso, la direzione, il nesso con l’uno assoluto. (Filippo Fenara)
Tempo, tempo, tempo: ecco cosa abbiamo.
Tempo per osservare da lontano le cadute
negli scalini di Plutone
davanti all’uscio
della sua perversa profondità.
Tempo per prolungare gli sguardi velati
sugli schermi delle tue distese articolate
che fanno vibrare l’aria
riscaldandola.
Tempo per indietreggiare sulla strada
che conduce alla comprensione reciproca
quella assoluta che mai si cancella.
Tempo per assorbire il profumo dei baci
che così poco conosciamo
ma così familiari
da sembrarci vicini all’essenza.
Tempo per raccogliere desideri e sogni
di una vita tracciata a matita
su un biglietto del treno
andata e ritorno.
Tempo, tempo e ancora tempo: solo questo.
Eh, lo so che a volte i miei gusti musicali sono un po’ aggressivi e dal retaggio adolescenziale, purtroppo o perfortuna sono questo, non mi pagano per recensire i lavori dei musicisti ma, in compenso, ho la libertà di scrivere e diffondere quello che più mi colpisce e che ritengo interessante, senza pormi paletti e confini entro i quali reprimere i miei gusti. Quando ho ascoltato per la prima volta “Ished Tree” del pianista Jamael Dean mi è subito sovvenuta la linea poetica dell’amica autrice Nadia Alberici, classica ed elegante, mai scontata, dolce e introspettiva oppure imbevuta di laconica malinconia, caleidoscopica, esilarante. Ed è a lei che, in segno di pace acustica, dedico questa breve recensione di un disco che amo profondamente. Essendo un giovane (21 anni) – immenso – talento del jazz made in L.A., ovviamente wikipedia non lo contempla neppure, ci dovremo accontentare di qualche mia sensazione a caldo e dell’ascolto di “Ished Tree”, album di piano solo dove il musicista sembra conversare con l’universo, componendo frasi che si leggono sinesteticamente come i versi di una poesia. Ho i brividi nel pensare a quello che sto per scrivere ma Jamael Dean mi ricorda tanto Herbie Hancock che, prima di ascoltare “Ished Tree”, consideravo un punto inarrivabile dell’espressione musicale. Preparatevi, non è musica easy listening, ma un viaggio nell’arte sonora, cominciamo con la moderatamente luminosa traccia d’apertura “When There Is No Sun”, rilassatevi e cliccate play…
Credo che questo album vada ascoltato nella sua interezza, comunque vi propongo di seguito un brano sfumato con alcune contaminazioni di musica contemporanea, io ne adoro il potere narrativo, spero che per voi sia la stessa cosa. Il titolo è “Ballad For Samuel”.
Occhei, anche questa volta una cosina un po’ fuori dal mainstream, sono altresì convinto che piacerà molto a chi nutre una sensibilità artistica spiccata, a chi ama creare, a chi scrive, a chi sa leggere e mi auguro anche sarà di gradimento a…Nadia Alberici. (Filippo Fenara)
La torre di Babele che crolla lasciando spiazzati, frastornati, confusi, scioccati. E che mette davanti ad un bivio: da una parte ricostruire una torre ancora più alta, dall’altra pensare che in fondo, scendere è l’unica strada per arrivare in cima alla vita. Filippo si è trovato davanti a questa biforcazione pochi mesi fa ed ha scelto il secondo percorso. Non conosco così a fondo la persona Marianna Bindi, ma la poetessa ha un evidente ed inestimabile talento impresso su fogli mischiati a bollette e volantini del supermercato, in files obsoleti tramortiti dentro chiavette in ripostigli angusti, versi annotati sul retro di scontrini poi accartocciati e gettati nella spazzatura. Disperdere i suoi pensieri, che sono oggettivamente un patrimonio intellettuale di tutto rispetto, lo ritengo veramente un peccato imperdonabile e sto cercando, grazie soprattutto alla sua disponibilità, di ricostruire un archivio delle sue visionarie composizioni. Questa memorabile “La Torre” è solo un succulento antipasto alla nostra prima collaborazione (come promesso qualche giorno fa) in written word improvvisata tramite chat che ha dato alla luce “Kryptonite”, in rampa di lancio su Le Mie Cose domani mattina alle 8:30. Ed è solo l’inizio della nostra ascendente discesa… (Filippo Fenara)
Un torrione
che si acchiocciola
dagli inferi al cielo.
Una scalinata
di concatenazioni
e di note a margine
di un dispiacere.
S’apre un varco
nella torbida notte di scuse:
sono io che m’arrampico
e che m’inerpico
aggrappata
a un passamano.
Come una pianta
osservo e persevero
in un mutismo universale
voglio solo abitare radici di parole.
Ramificandole.
Approfitto di questa chicca aulica di Manuela Di Dalmazi per dare a tutti i lettori l’appuntamento Venerdì 15 Gennaio alle 21 su queste frequenze, per una succinta recensione della prima silloge della poetessa succitata “Germoglia L’anima Deserta” in occasione dell’inaugurazione della nuova rubrica “L’allibratore”. Restate sintonizzati. (Filippo Fenara)
Questi racconti relativi agli anni ’80 di Albert sono per me, oramai, una dipendenza felicemente cronica: io c’ero e posso assicurare a chi è nato dopo che l’attinenza di queste storie è formidabile, che era proprio così, con gli stessi identici contesti, dialoghi, luoghi comuni, rapporti che il capace autore del blog “Povertà e Ricchezza” ripropone con una fedeltà impressionante, lasciando attoniti quelli della mia età che vedono riemergere situazionismi messi da parte, ma anche le generazioni successive che hanno modo di cogliere i frutti di una decade contraddittoria, dove tutti avevamo l’illusione di poter diventare qualcuno, dove la crescita ci sembrava una strada verso il paradiso, dove germogliarono anche tante iniziative che ora sono il fondamento tecnologico, musicale, sociale, espressivo e, perchè no, finanziario attuali. Evito una noiosa prosopopea e vi lascio a questo racconto, consigliandovi di seguire questo blog anche su Facebook, tutti i link sono proposti in calce. (Filippo Fenara)
Michela amava Vasco ma Vasco amava Michela?
La nostra compagna di classe e di cazzeggi pomeridiani era al passo da constatarlo dal VIVO.
Il rocker di Zocca, il Blasco avrebbe tenuto un concerto nella nostra città qualche giorno dopo, 1987 circa…occhio e croce…
…cosa conta il tempo quando la musica rimane lì a riportarci con la mente dove vogliamo?
Non era ovviamente la prima volta che il Vasco suonava dalle nostre parti, ma la Michi era TROPPO PICCOLA per poterci andare ma ora a quindici anni…
Logico che ci andrò, cavolo LUI è là e io sono la sua Toffee, lo AMO, lo ADORO, io sono…io sono…
LA SUA TOFFEE
Giocala, Una canzone per te, Asilo republic, Vado al massimo, Splendida giornata, Jenny è pazza, Silvia, Siamo solo noi e ovviamente TOFFEE,
Cacchio le so tutte a memoria…
A SCUOLA e nei nostri pomeriggi al parco era letteralmente impazzita di gioia. I M P A Z Z I T A!
E vasco qua e Vasco là e Toffee qua
VASCO TI AMO
scritto col pennarello rosso sulla porta del cesso a scuola con tanto di KISS…
Bacio stampato sotto con due chili di rossetto e GUAI a chi lo cancella, vi uccido tutti, ucciderò chi cancella il mio bacio o scrive sotto parolacce, chiaro ragazze?
Le sue amiche intimorite avevano annuito, quella era un pò fuori di testa.
Perfino la perfida Sophia non aveva detto niente sul quel VASCO TI AMO con bacio in mezzo alla O del VASC O.
Mentre Michela Michelina Michi, Toffee, fumava allegramente cantando e saltando, il Pilone le aveva chiesto se suo padre l’avrebbe lasciata andare.
Certo che si, pirloide, aveva replicato lei acida, ma poco convinta. Infatti…il dubbio regnava nella sua capelluta testolina tanto carina.
Aveva smesso di cantare e si era messa a fumare nervosamente.
Non mi sembra che tu sia così convinta, aveva ironizzato la Silvia.
Già, per me non ci andrai. E invece si. E invece no. Fine della gioia, inizio della…
…SOLITA BARUFFA DEL POMERIGGIO
Arrivata a casa, alterata dalla lite, completamente inutile, ma quella scema mi ha provocato, non volevo…accidenti al mio caratteraccio e a lei e…
…e alterata da una lattina di birra aveva salutato distrattamente la famiglia.
Sua madre le aveva annusato a tradimento i capelli legati in una lunga coda. Fumo, sigarette, hai fumato!
Michela aveva alzato le spalle, no ero un salto al bar dell’angolo e…là fumano tutti dentro…gli altri fumano…
Senti mamma sabato prossimo voglio andare a vedere un concerto di musica…MUSICA.
Che tipo di musica? aveva incalzato suo padre entrando in scena.
Musica…corale…oratorio…si una BAND della nostra scuola…compagni di classe…
Rock? No…musica tranquilla, orchestrina…
…musica da balera? Liscio? Musica classica?
Michela aveva cominciato a sentirle di nuovo montarle la rabbia.
In fin dei conti aveva 15 fottuti anni, non era sua sorella scema di otto.
Voce alterata. Si stava alterando, incazzando di nuovo, ma stavolta aveva ragione lei.
Papà c’è il mio cantante preferito al palasport e voglio andare a vederlo!
Chi, quel Vasco? Lui.
Il tossico? Non è lui!
Il pervertito? Non è lui.
L’alcolizzato? NON E’ LUI.
Lui è LUI e basta, inutile ripetere le cavolate che scrivono i giornali del cazzo!
Eccola qua, parolacce, la signorina indottrinata dal suo eroe cantante del cuore.
Non sono indottrinata, sono parole piene di amore.
Suo padre si era messo a ridere e aveva detto a memoria …
SIAMO SOLO NOI GENERAZIONE DI SCONVOLTI SENZA PIU’ SANTI NE’ EROI
In tutta onestà, sono queste le parole d’amore del tuo caro Vasco? Generazione di sconvolti?
Michela in difficoltà, come cacchio farà a conoscere Siamo solo noi…
Quanti anni hai figlia? Quindici e tre quarti, calcolando la maturità delle donne come ne avessi 18…
Ma ne hai 15, quindi scordatelo, SEI TROPPO PICCOLA e non permetterò che tu vada in quella bolgia di sconvolti a farti PALPARE.
FUMARE chissà cosa, DROGARTI, BERE ALCOOL, avere rapporti PROMISCUI e robe simili.
Michela in difficoltà ulteriore, guarda sua madre. Sua madre fa di no con il capo.
Guarda sua sorella, la sorella se ne frega.
Si guarda le mani, i piedi, guarda per aria.
Scordatelo, figlia, lo facciamo per te! Per la tua salute per…per…
UN GIORNO CAPIRAI
Sente le lacrime salirle, stringe le mani a pugno.
VI ODIO!
Nell’ambito della #glottopoesia organizzato magistralmente da @phoenisia, il più reattivo, capace e creativo, secondo il mio modesto parere, è stato Claudio Picchedda, che in questo “fuoripista lirico” ha dimostrato evoluzioni dialettiche notevoli. @cpbacco ha scritto tre #glottopoesia e sono onorato di averne potute ospitare due, questa e l’altrettanto incisiva “Iceberg“, tra le mie carte carbone. “Fibra e Fibrilla” (titolo che ho dato io per necessità “editoriali”), rispecchia l’anima di musicista e poeta di Claudio Picchedda, a parte i riferimenti diretti del principio dell’elegia, i lemmi sembrano avere la funzione di un plettro che pizzica le corde dell’anima, versi brevi e contorti come un flamenco suonato in un assolato angolo di Siviglia, effervescenti come una bottiglia di cola shakerata ed aperta, esplosivi, vivaci, fervidi. Devo timidamente asserire che preferisco il @cpbacco quando “sbanda” dal suo “stile di comfort”, quando l’improvvisazione diventa un’urgenza per lui e un nettare rinvigorente per i lettori. Comunque sia, seguitelo, seguitelo, seguitelo. (Filippo Fenara)
Il kamikaze timido
cincischia sull’obbiettivo
fischietta “About a Girl”,
nipponico Nirvana,
sbranato
dal previo rimorso
come un corpo
sottoposto a disosso
a ridosso del sacrificio d’artificio
per gli aficionados
del supplizio a progetto,
moralmente costretto
al rigetto della vita,
gira la cloche
vira, come un bosch s’avvita
e la fa finita
centrando la mia matita.