Continuo a credere che Sydan abbia installata una patch congenita per riuscire, con sobria semplicità, a riassumere in poche parole sentimenti, emozioni e stati d’animo sconfinati. Centra un bersaglio argomentale desueto anche questa volta, vi suggerisco di seguirla sul profilo Instagram, è speciale. (Filippo Fenara)
© Lemiecosepuntonet
In questo piccolo spazio pre nanna dedicato ai dialetti, stasera grazie all’amica ed autrice Lyth Karu, andiamo in Sicilia a recitare una filastrocca popolare accompagnata da un girotondo che, spero presto, potremo provare tutti assieme. Grazie di cuore Lyth e una serena notte a tutti. (Filippo Fenara)
Oji è Duminica
ci tagghiamu a tista a Minica;
Minica nun c’è,
ci tagghiamu a tista a lu re.
U re è malatu,
ci tagghiamu a tista a lu suddatu;
u suddatu fa la guerra,
n’intappamu u culu ‘n terra.
Oggi è Domenica
tagliamo la testa a Menica;
Menica non c’è,
tagliamo la testa al re.
Il re è malato,
tagliamo la testa al soldato;
il soldato fa la guerra,
sbattiamo il culo in terra.
Menica è diminutivo di Domenica nome di donna.
La filastrocca si recita in molti che si tengono per mano in cerchio saltellando ora in senso orario ora antiorario e si conclude sedendosi tutti con un saltello in terra.
Mi metto avanti con la “glocalizzazione” ipotizzata dal profetico filosofo e sociologo polacco Zygmund Baumann e, come scritto già nell’articolo precedente ma con la missione di ribadirlo a sfinimento, cerco di fare in modo che le differenze culturali locali diventino motivo di scambio e solidarietà piuttosto che di scontro. I dialetti sono un patrimonio inestimabile della penisola italica e, fruendo di quelli di tanti amici e conoscenti che ne pubblicano poesie e scritti vari nei blogs e nei social, ho deciso di “sottoporvi”, ogni tanto, un proverbio o una zirudèla (l’antica spoken poetry felsinea) nella tradizionale parlata bolognese, oggi pericolosamente a rischio estinzione. Questi proverbi fanno parte di uno dei libri di Alberto Menarini, linguista appassionato al quale venne riconosciuta una laurea ad honorem per il lavoro di ricerca, traduzione ed archiviazione del dialetto che imperava all’ombra delle due torri. Buona serata e statemi in luce. (Filippo Fenara)
Qualcosa che mi ha calamitato. Qualcosa che, tra centinaia di scritti che scorro ogni giorno, mi ha trafitto. Qualcosa di gelido e rovente nello stesso momento. Qualcosa che ha fatto fermare la pallina della roulette su SydanMeni. Qualcosa di affascinante perchè misterioso ma urgente e necessario. Capirò a posteriori il perchè. Ho trovato il risultato ed ora mi spetta cercarne la relativa funzione algebrica. Praticamente non so ancora nulla di SydanMeni, ma ero certo che dovevo pubblicarne i versi. Senza fiatare. Avremo tempo e modo di esplorarci reciprocamente, così ha deciso il fato e una connessione sottotraccia che pulsa. Ecco a voi (il titolo l’ho “battezzato” io) “Neppure” di @sydan.meni…
Voglio che mi scrivi
ma poi dimentico di risponderti.
Amo le tue dolcezze
ma non mi riempiono più.
Mi sentivo piena di buchi
e ogni tua dolce frase ne rattoppava uno.
Ora mi sento piena
e le tue dolci frasi non mi sfiorano più.
Prima mi facevo segni nel cuore per te,
ora neppure prendendolo a morsi potresti ferirmi.
Introduco lo scritto di Stefano Budicin aka @merenernellanotte con il quale ha aderito e contribuito all’iniziativa collettiva Instagram “Limiti Umani” di cui ho già accennato oggi in occasione della ripubblicazione della poesia di PMR (trovate l’articolo QUI). L’eccelsa ed elevata prosa di questo autore cattura l’attenzione irrevocabilmente e conduce fino al termine dello scritto senza mai subire cali tensivi, una concatenazione di parole in cui non è mai presente “l’anello debole”. Buona lettura e statemi in luce.
Adoro le possibilità espressive che conseguono al dialogo che si innesca tra limite e infinito. Goethe precisa che la bellezza sta nella misura. Affascina l’idea che per gustare davvero il cuore di qualcosa sia necessario sorbirlo a piccole dosi, senza strafogarsi. Vero è però che vi sono ambiti nei quali è d’uopo essere più lucidi di Ulisse e superare di slancio le colonne d’ercole della propria Weltanschauung (visione delle cose). Uno scrittore sa che l’immaginazione può tutto e i limiti sono solo formali. Essi consistono nel dare un ritmo un timbro un tono al magma polimorfo della vita, recintandola in formule sintattiche contro le quali essa non potrà che scontrarsi in un denso e reiterato ebb and flow di antipatia. Ma se i limiti non esistessero il magma colerebbe giù dalle pendici del vulcanico fluire cui il reale sa di essere sinonimo, e laverebbe via, a suon di folate ardenti, tutto il circostante. L’Ulisse di Joyce è un’opera straordinaria perché l’apparente incalcolabile disordine della vita quotidiana viene presentato in tutta la sua ricchezza attraverso una struttura rigorosa. Mancasse quella, la vita prevarrebbe. Quando nasce, il bambino è onnipotente. Poi cresce, e si dimentica di esserlo. Ma è solo grazie a chi, crescendo, non si arrese all’evidenza di non poter volare, che oggi possiamo volare, pur se confinati all’interno di precise leggi fisiche il cui pregio maggiore è di averci limitati a tal punto da spronarci a realizzare lo stesso i desideri che tanto ci fa gola soddisfare.
Il Petrucciani della QWERTY
non scrive per averti
gli basta saperti
in inauditi
ed inuditi
canoni inversi
capoversi sommersi
da occhi tersi
persi nel languore
di un desolato
albergo ad ore.
Un brevissimo proemio per sottolineare il superlativo contributo di PMR alla lodevole iniziativa collettiva Instagram “Limiti Umani” alla quale hanno partecipato anche @cataldi_luisa @essereneiversi @inosservatapasso @merenernellanotte (del quale ripubblicherò il relativo scritto questa sera alle 21) @pensieripassati @vanskywriter e @beppecampo. Statemi in luce. (Filippo Fenara)