Ho 47 inverni sulle spalle (le “primavere” sarebbero un eufemismo) e certa musica non dovrei nemmeno ascoltarla, anzi, sarebbe il caso che mi redronnizzassi e avvicinassi certi contesti “peccaminosi” con l’attitudine bacchettona e l’indice puntato da chissà quale pulpito. Perchè nei testi di Oro Bianco (il nome d’arte è già una garanzia) ci si trovano tranquillamente droghe, maschilismo estremo, ostentazione di ricchezza, mancanza di rispetto per le forze dell’ordine, autocontemplazione, violenze assortite e disagi dalle forme più curiose e degradanti. Manca solo un ingrediente che accomunerebbe quest’album al flusso commerciale della musica: la finzione ipocrita. Ci ho pensato parecchio, preferisco mi sia diagnosticata una sindrome di Peter Pan cronica piuttosto che porgere l’orecchio ad altre diarroiche logorree sentimentali da alta classifica; il mondo della strada è questo, la trap al momento è l’unico scorcio sul tutto contemporaneo e ho sempre sognato di segnare un trait d’union tra la street poetry e la poesia più convenzionale, perchè so che gli incroci generano spesso evoluzioni e non pandemie d’ignoranza.