Il ritorno, oramai settimanale, di Ettore Massarese tra le Carte Carbone, arriva in nome della “modestia” e della “grandezza”, sulle quali abbiamo avuto un veloce scambio di vedute tra i commenti della poesia che, a breve, avrete il piacere di leggere. Il mio punto di vista è che l’una prescinde dall’altra ed essendo l’artista partenopeo una persona dall’eccezionale modestia, lo considero a maggior ragione un grande uomo e poeta, al di là del suo curriculum, della sua posizione sociale e dell’oggettiva qualità tecnica che lo contraddistingue. In questa “Fata” è facile ravvisare il profumo salmastro che si propaga nei vicoli del capoluogo campano, ci si ricongiunge ai meandri della contraddittoria ma irrinunciabile quotidianità di Napoli, il tutto seguendo il filo di una narrazione idilliaca che il dialetto rende ancora più passionale e verace. Un assioma perfetto nella sua mitigata aulicità popolare, un manifesto in onore di tutte le donne che non sfigurerebbe come leit motiv non solo l’otto Marzo, ma ogni santo giorno che la Vergine Maria manda in terra. Mi sono subito affezionato a questo sinuoso componimento, ci sento le radici e la chioma, il cielo e la terra, il desiderio e il sentimento, la modestia e la…grandezza di Ettore Massarese. (Filippo Fenara)
Non poteva mancare la parlata popolare dell’alto mantovano (come specifica Alessandro Gianesini) ad arricchire le pagine di Le Mie Cose dei colori e suoni dei dialetti italiani. Il mio blog svaria a centrocampo tra rap colombiano, poesia classica, neologismi, racconti e vernacoli, sono indagato per il reato di “coacervo tematico” ma giuro di essere innocente, un giorno vi spiegherò il denominatore comune tra tutte queste discipline che qualcuno vorrebbe frammentare in minuscole briciole di niente. Non mi dilungo ulteriormente perchè l’articolo di Alessandro Gianesini è già completo di tutto, audio, testo, accordi e traduzione, ed anche sotto il lockdown più rosso sarà comunque possibile scavalcare i confini dei social per visitare il suo sito (del quale vi lascio i links in calce) “Alessandro Gianesini – Lo Scribacchino Del Web”, uno tra i più ricchi di contenuti di valore che si sedimentano nell’anima, al contrario della sozzeria inesistente dei mass media. Ora allegria con “El Pensiunat”, statemi in luce!!! (Filippo Fenara)
Ecco il secondo dei tre brani tradotti dal dialetto dell’alto mantovano (che non lo si chiami dialetto mantovano, o i cittadini si incazzano come delle iene, quelle dell’Arca del brano scorso), stavolta a tematica sociale.
Per chi si diletta a suonare, ci sono pure gli accordi!
Fa#m Re Fa#m Re
L’è trent’an che so en pensiù dop quaranta de laurà
Sono trent’anni che sono in pensione dopo quaranta di lavoro
Fa#m Re La Mi
L’è ‘na gran sudisfasiù, fo na vita de pascià
È una grande soddisfazione, faccio una vita da pascià
Töt i dè g’ò quel de fa, fo la fila dal dutùr
Tutti i giorni ho qualcosa da fare, faccio la fila dal dottore
Perde gnanca ‘n füneràl, vo al simitere a cambia i fiùr
Non mi perdo nemmeno un funerale, vado al cimitero a cambiare i fiori
Re Do# Fa#m Si
Cos’è la vita, te naset, te creset, te spuset, t’engraset
Cos’è la vita, nasci, cresci, ti sposi, t’ingrassi
Re Mi Fa#m
E po te spetet, te speret che ries el dè de nà ‘n pensiù
E poi aspetti, speri che arrivi il giorno di andare in pensione
E finalmente desvonte le ante che i è inchiculente
E finalmente pulisco le ante che sono luride
Fo quel che öle, adès poche bale, cumanda el vintidù!
Faccio quel che voglio, adesso poche balle, comanda il ventidue (probabilmente riferito alla classe, ndr)
Lünedè televisiù, martedè televisiù
Lunedì televisione, martedì televisione
Merculdè Radio Maria, ma el giuedè me vo al mercà.
Mercoledì Radio Maria, ma giovedì vado al mercato (giorno del mercato a Castel Goffredo, paese d’origine del gruppo, ndr)
Po vo al bar a bèer en bianc, quasi quasi en bèe dù
Poi vado al bar a bere un bianco, quasi quasi ne bevo due
Me fo da apò en boero, l’è na vita de sbalù
Mi faccio dare anche un boero, è una vita da sballone
Cos’è la vita, te naset, te creset, te spuset, t’engraset
Cos’è la vita, nasci, cresci, ti sposi, t’ingrassi
E po te spetet, te spere che ries el dè de nà ‘n pensiù
E poi aspetti, speri che arrivi il giorno di andare in pensione
Ma veramente finìt co le ante g’ò pö de fa niente
Ma veramente finito con le ante non ho più niente da fare
Vaca galèra, che ria pö sera, so drè a nà ‘n depresiù!
Vacca galera, qui non arriva più sera, sto andando in depressione!
G’ò tre fiöi che i è n’amore, i m’à gnanca stracagàt
Ho tre figli che sono un amore, non mi cagano nemmeno di striscio
I speta apena che me möre per ciücàs l’eredità!
Aspettano solo che io muoia per beccarsi l’eredità
Ma i neùcc i me öl bè, i me ciàa la dentiera
Ma i nipoti mi vogliono bene, mi fregano la dentiera
I me cagà en del bidè, g’ò mess al mond di disgrasiacc!
Fan la cacca nel bidet, ho messo al mondo dei disgraziati!
Cos’è la vita, te naset, te creset, te spuset, t’engraset
Cos’è la vita, nasci, cresci, ti sposi, t’ingrassi
E po te spetet, te spere che ries el dè de nà ‘n pensiù
E poi aspetti, speri che arrivi il giorno di andare in pensione
G’ò tre palanche ma ghe do mia niente ai parencc, chi bröi cancher
Ho tre soldini ma non do niente ai parenti, quei brutti cancheri
Se anche ghe sonte, me töle la badante, me maie föra töt!
Se anche ci rimetto, mi prendo la badante, mi mangio fuori tutto!
Le ‘na bionda strepitusa, quand andòm en söl mercà
È una bionda strepitosa, quando andiamo sul mercato
Töcc i omm i la sgulusa, i è invidiùs cumpagn di cà!
Tutti gli uomini la sgolosano, sono invidiosi come dei cani!
E la not gh’è mia pö freno, ni e cuntòm le barselete
E la notte non c’è freno, ci raccontiamo le barzellette
Me en dialèt le en ceceno, e so vodka a butigliù!
Io in dialetto e lei in ceceno, e giù vodka a bottiglioni!
Cos’è la vita, te naset, te creset, te spuset, t’engraset
Cos’è la vita, nasci, cresci, ti sposi, t’ingrassi
E po te spetet, te spere che ries el dè de nà ‘n pensiù
E poi aspetti, speri che arrivi il giorno di andare in pensione
Sicüramente se sie pö pimpante me sucedìa niente
Sicuramente se ero più pimpante non mi succedeva niente
So riàt al dunque, g’ò vist le müdande e me gnìt un infartù!
Sono arrivato al dunque, le ho visto le mutande e mi è venuto un infarto!
Anche stavolta non mancano alcuni riferimenti territoriali, come il giorno di mercato del paese e altre piccole cose secondarie, ma credo che questa canzone possa essere esportabile in tutto il territorio nazionale per la sua valenza culturale!
In questo piccolo spazio pre nanna dedicato ai dialetti, stasera grazie all’amica ed autrice Lyth Karu, andiamo in Sicilia a recitare una filastrocca popolare accompagnata da un girotondo che, spero presto, potremo provare tutti assieme. Grazie di cuore Lyth e una serena notte a tutti. (Filippo Fenara)
Oji è Duminica
ci tagghiamu a tista a Minica;
Minica nun c’è,
ci tagghiamu a tista a lu re.
U re è malatu,
ci tagghiamu a tista a lu suddatu;
u suddatu fa la guerra,
n’intappamu u culu ‘n terra.
Oggi è Domenica
tagliamo la testa a Menica;
Menica non c’è,
tagliamo la testa al re.
Il re è malato,
tagliamo la testa al soldato;
il soldato fa la guerra,
sbattiamo il culo in terra.
Menica è diminutivo di Domenica nome di donna.
La filastrocca si recita in molti che si tengono per mano in cerchio saltellando ora in senso orario ora antiorario e si conclude sedendosi tutti con un saltello in terra.
Mi metto avanti con la “glocalizzazione” ipotizzata dal profetico filosofo e sociologo polacco Zygmund Baumann e, come scritto già nell’articolo precedente ma con la missione di ribadirlo a sfinimento, cerco di fare in modo che le differenze culturali locali diventino motivo di scambio e solidarietà piuttosto che di scontro. I dialetti sono un patrimonio inestimabile della penisola italica e, fruendo di quelli di tanti amici e conoscenti che ne pubblicano poesie e scritti vari nei blogs e nei social, ho deciso di “sottoporvi”, ogni tanto, un proverbio o una zirudèla (l’antica spoken poetry felsinea) nella tradizionale parlata bolognese, oggi pericolosamente a rischio estinzione. Questi proverbi fanno parte di uno dei libri di Alberto Menarini, linguista appassionato al quale venne riconosciuta una laurea ad honorem per il lavoro di ricerca, traduzione ed archiviazione del dialetto che imperava all’ombra delle due torri. Buona serata e statemi in luce. (Filippo Fenara)