Come promesso precedentemente ecco lo spin off l’articolo derivato dalla quadrilogia “Hail To Holland” che se avete voglia di rileggere la trovate ai seguenti link:
Tornando nei Paesi Bassi, più precisamente nel centro di Groningen, si trova un locale delizioso che esito a definire “pub” anche se la proposta si concentra essenzialmente su birre artigianali di altissima qualità e “spuntini” molto curati.
Con i capelli come gli spaghetti nella scodella di Alberto Sordi, mi presento alle 7 in stazione a Gronny in attesa del torpedone che trasla al porto di Lauwersoog, caffè lungo e combustione tabagica a due centimetri dalle mie labbra. Alla vita piace essere maltrattata senza essere trattata male. M’accomodo in un posto in fondo al bus a memoria degli anni scolastici, calo sul viso gli occhiali da sole immaginari smarriti in un qualsiasi posto un paio di giorni fa e il sax di Lester Young fluisce liquido attraverso gli auricolari, ripristinando il giusto calibro con cui rapportarsi al creato. Quaranta minuti di pianura di verde abbigliata, un sole mussoliniano che s’impone sui volti assopiti di noi passeggeri c’intrattiene fino al porto, una gettata dubbia di cemento senza pretese estetiche si staglia davanti ai nostri passi impavidi verso la traversata che ci porterà all’isola delle Frisone dal nome afasico: Skermonnikoog.
Il sole che si specchia vanesio sul mare
Il traghetto si lascia alle spalle una scia di schiuma per insospettire i complottisti,
Lembi d’orizzonte
inspiro il profumo del mare e le sfumature scure degli orizzonti nordici, probabilmente è questo il motivo per il quale viro il timone musicale su Bjork e mi lascio accecare dall’enfasi della navigazione. Ad essere sinceri anche il porto dell’isola olandese è abbastanza scialbo, grigio e indisponente ma la sensazione di “sbarco” mi affascina da sempre, così soprassiedo alle polemiche e passo un paio di minuti a gesticolare con un tizio che mi noleggia una bici e benedice il mio irreversibile partire verso. Dunque, c’è una strada per veicoli a motore che taglia l’isola a metà, per il resto sono tutte piste ciclabili accompagnate da panorami che non vi dico tanto non ci credete, un paio di borghi arredati a mo’ di villa ritratta su “Vivere Country”, viene da chiedersi se sia tutto reale o tutto sia reality.
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Le Frisone sono rinomate tra gli osservatori di uccelli e, scrivendolo in italiano per amor letterario conservativo, mi rendo conto di aver abbracciato un pubblico dai facili costumi e dai bassi istinti, ma resto fiero sulla mia affermazione perché, da una delle postazioni sparse nei punti strategici dell’entroterra, ho potuto godere dell’estasi del librarsi di esseri meravigliosi la cui creazione non può che ricondurci ad un qualche Dio, altra spiegazione, onestamente, non mi sovviene.
Il silenzio che lascia cantare l’attrito dei battistrada sul pavè, panorami evasi dal National Geographic, fari,
Avviso ai naviganti
stagni popolati da creature dimenticate degne del bar di Guerre Stellari, stormi di uccelli che disegnano traiettorie geometriche in un cielo nel quale, alle tre di pomeriggio, già fa capolino una luna birichina ed egocentrica, il mare mite che suggerisce l’attesa, poi…il tramonto. Non pensavo esistessero così tante tonalità di rosso, non credevo che le risposte ai dilemmi della vita si rivelassero in sinfonie cromatiche, pagherò prima o poi per la mia incredula diffidenza nei confronti della Madre, so di meritarmelo.
Decido di tornare con l’ultimo battello, il cielo di lava copre il ritmo circolare dei pedali. Ssssshhhh, silenzio digitale come sottofondo allo scorrere in una scenografia impressionista, dirige il Maestro Rembrandt. A braccetto di neri canali posati su prati da Subbuteo avverto l’aria rinfrescarsi, tutto è pronto per l’apoteosi, la risposta a qualsiasi risposta, la mano dell’universo che si tende a me. Nell’assopito vuoto acustico, in un fragoroso crescendo, lo starnazzare di migliaia di uccelli accompagna il sollevarsi alle mie spalle di uno stormo denso e illimitato che rabbuia il tramonto e dipinge il cielo di infinite “V”, volano sopra di me, il cuore fibrilla, ho le vertigini ma non ho paura, il miracolo si ripete per due volte. Non ho mai vissuto un’emozione così destabilizzante ed allo stesso tempo chiara e definitiva, ho capito in quel momento che “Io” equivale a zero e la somma d’infiniti “Io” è sempre zero: nulla a cospetto dell’”Uno” della Madre Onnipotente.
Fermo la bicicletta al porto sgranocchiando gli ultimi scampoli di luce, tremo e sono irrigidito da fiumi di adrenalina che esondano nel mio corpo. A volte basta solo un momento per capire, senza complemento oggetto, capire e basta. Sulla via del ritorno mi lascio accarezzare dai versi di Battiato che sottile recita “Un oceano di silenzio scorre lento, senza centro né principio…cos’avrei visto del mondo senza quella luce che illumina i miei pensieri neri?”.
Alcuni miei coetanei bofonchiano che frequentare signorine molto più giovani aiuti a rivivere e rievocare lo spirito dei bei tempi andati; la mia personalissima strategia di “rejuvening” (ringiovanimento) differisce leggermente e consiste sostanzialmente nel calarmi in una località sconosciuta senza prenotare nulla, così come facevo quando avevo venticinque anni e girovagavo per il mondo da solo in freestyle saltando da ostello in ostello accompagnato e sostenuto dal tomo allora irrinunciabile della “Lonely Planet”. Ecco perché mi sono ritrovato bellamente a Groningen
con un sole fin troppo generoso che illuminava il mio sorriso, ignaro del fatto che non avevo la minima idea di dove “andare a sbattere” (inflessione felsinea), in un’epoca dove la celeberrima “incudinea” cartacea guida è stata sostituita da altri ridondanti ciceroni virtuali. Diteggio un po’ il mio schermotocco e trovo una stanza doppia ad un prezzo accettabile a venti minuti dalla stazione, prenoto e m’incammino a braccetto con il navigatore tra le strade ordinate di quella che io amichevolmente chiamo “Gronny”, accorgendomi che i semafori lì hanno un’autorità rispettata, che ringraziare le auto che si fermano per farti attraversare viene visto come un gesto da psicotici e che, nella città con più piste ciclabili del mondo, l’ordine gerarchico suggella le biciclette al primo posto, Ultimo al secondo (che se ne va incazzato), i pedoni a seguire e le automobili in fondo alla classifica nel girone degli inzaccheratori civici.
con un sole fin troppo generoso che illuminava il mio sorriso, ignaro del fatto che non avevo la minima idea di dove “andare a sbattere” (inflessione felsinea), in un’epoca dove la celeberrima “incudinea” cartacea guida è stata sostituita da altri ridondanti ciceroni virtuali. Diteggio un po’ il mio schermotocco e trovo una stanza doppia ad un prezzo accettabile a venti minuti dalla stazione, prenoto e m’incammino a braccetto con il navigatore tra le strade ordinate di quella che io amichevolmente chiamo “Gronny”, accorgendomi che i semafori lì hanno un’autorità rispettata, che ringraziare le auto che si fermano per farti attraversare viene visto come un gesto da psicotici e che, nella città con più piste ciclabili del mondo, l’ordine gerarchico suggella le biciclette al primo posto, Ultimo al secondo (che se ne va incazzato), i pedoni a seguire e le automobili in fondo alla classifica nel girone degli inzaccheratori civici.
Va da sé che “va dove ti porta gugolmap” m’indicava la presenza di un albergo in fondo ad un canale: addio sogni di gloria, forse era meglio la Lonely Planet. Mi sono aggirato nervosamente nei paraggi pensando di essere stato truffato ma, dopo mezz’oretta, mi sono accorto che, in effetti, la stanza che avevo prenotato si trovava all’interno di un antica barca ristrutturata (rejuvening) e, inconsapevolmente, anche in questo caso avevo soddisfatto un capriccio di gioventù. Romantico, intimo e friendly sono le parole che descrivono quel mio alloggio nordico, le fotografie raccontano il resto.
Ovviamente, in tale atmosfera difficilmente ripetibile, mi si è srotolata un’haribo di parole e sensazioni diseducate:
GRONINGENRaggi di sole, di bici, di fries con gli amiciprofumo d'acqua, dipinti senza cornicibattelli stagliati tra ragazzi pettinati,patinati, dorati come 24 caratifacce recise da pioggie orizzontalisapori di un safari sui mari,danziamo fino al coprifuocospacchiamoci intimamente, gente!Inspiro essenze di acerbo porsiespresso a progetto con manette ai polsi;rebeldìa!!! voce che si disperdenell'esibizione di un obbediente verde.Arpeggio le lenze sensibilidei peccatori invisibili dagli occhi vitreipollini di attimi di rinascitanella mescita di venti gelidi e obliquifiori inesprimibili sotto suole perentoriegiovani guance rosse su viali di fogliefalciati sui selciati dalle logiche ordinateillusi poi disincantati dal tepore dell'estate.Fiorisci Groninga, confessa il tuo valore,cruciverba di canali, s'appisola il sole.
Groningen è un posto incantevole: tutto sembra semplice, il frastuono dei motori è ridotto al minimo e l’effetto è miorilassante, si ha la sensazione che la gente che vive qui stia complottando per infiltrare la bellezza nei tessuti sociali.
Di fronte alla stazione, opera di architetti italiani (…non saprei se vantarmene in questo caso, l’opera è altamente discutibile), si trova il museo nel quale sono andato ad ammirare la personale di Chihuly, artista che non conoscevo e che ha rappresentato l’ennesima dimostrazione di sincronismo d’intenti benevoli che si respira in città, in un articolo a parte ne scriverò per condividerne il meglio. La torre che si erge nel centro città,
Di fronte alla stazione, opera di architetti italiani (…non saprei se vantarmene in questo caso, l’opera è altamente discutibile), si trova il museo nel quale sono andato ad ammirare la personale di Chihuly, artista che non conoscevo e che ha rappresentato l’ennesima dimostrazione di sincronismo d’intenti benevoli che si respira in città, in un articolo a parte ne scriverò per condividerne il meglio. La torre che si erge nel centro città, i giardini curatissimi, il vivere sobrio e sostenibile, le immancabili birre artigianali del “Mout” (anche questo locale merita una menzione a parte, anche se va di moda scrivere spin off, ma per certi linguisti improvvisati forse è meglio uno spin ell…) e il senso civico che si respira, fanno di Gronny una meta intuitiva ed ispiratrice, soprattutto se abbinata alla visita delle isole Frisone (di cui al quarto quarto).
Gronny non è la città in cui sogno di vivere: è l’anteprima di ciò che le città, grandi o piccole che siano, diventeranno, il cambiamento in atto non contempla obiezione alcuna.
Sogno un Italia così, opero e combatto per un mondo così, la vita è fottutamente preziosa e si riassume tutta in un “così”…pargoli e fragoline, ci si guarda di nuovo negli occhi al quarto quarto fra una triade di dì.
Nel percorso verso Groningen, ho effettuato un cambio alla stazione di Utrecht, splendida città nella quale ho riposto tanti bei ricordi. In quella mezz’ora ho strappato dalle sgrinfie del vuoto questo dedalo di parole che desidero accompagnino l’anima di una persona a me vicina che ha deciso di confondersi con le stelle all’improvviso, questa mattina.
Utrecht
Beige che sfreccia nei finestrini, al centro dell’affronto di due orizzonti, che foglie riposano ai piedi della Madre in un cielo grigio come i suoi occhi. Perché è tanto bionda ed io sto male? Stazioni equivalenti nel calvario del ritorno, pensieri inficiati dal subliminale ricordo di noi in un tetris di complicità. Dove, cosa, ora? Mi spaventa l’ansimante respiro della solitudine che impregna i muri di rimpianti, i visi di rughe saettanti gli occhi di neve d’estate e Utrecht del suo profumo. Tegole obbedienti allineate su tetti acuti e austeri è lei azimuth dei miei pensieri; silenziosi canali sui quali ci specchiammo trascinarono i nostri volti attraverso gli orizzonti divisi dei neri litorali del nord.
L’ostello ad Eindhoven mi ha insegnato che i formaggi non sono succedanei del latte, ma si ottengono cagliando le sneakers dei giovani giramondo. Quando ho portato il mio “backpack” nella stanza a me assegnatami, per un attimo ho avuto la casearia sensazione di essere nel bel mezzo di un corteo di protesta contro le “quote letto”, tra l’odore di ganja e le esalazioni calzaturiere sarebbe potuto saltar fuori un bell’erborinato.
Non essendo ancora pronto per la gogna olfattiva, ho passato un po’ di tempo nella “rest room”,scrivendo qualche rima per ritardare l’abuso olfattivo che avrei dovuto subire a breve; il risultato, che piaccia o meno, è “Esondo Ecumenico” un’istantanea dell’impatto mentale con Eindhoven, l’Olanda e il ritrovato gusto del viaggiarmi dentro agevolato dal viaggiarmi fuori. Eccolo qui di seguito:
Esondo Ecumenico
Liscio la barba folta, incolta,
penso alla svolta che mi porta ancora una volta
davanti all’ennesima porta chiusa
da chi mi usa come scusa
per l’aspettativa riposta e poi delusa.
Felini e vipere, bagliori e stimmate
stima che si volge in orge demoniache,
pianto la tenda davanti ad Oostenda,
guardo la notte che s’incendia,
aspetto che una lacrima scenda
a lenire questo luogo loco, illogico gioco col fuoco…
Mollo tutto, vado a Lubjana in moto,
vuoto il sacco, eternamente sotto scacco,
squarcio i mari ed attracco a Lipari
lì impari che i cimiteri sono liquidi.
Stai certo bimbo, io non fingo,
spero di far bingo, andare a Santo Domingo
e finire spezzato da una prova di limbo.
Caffè Kimbo, strega leggimi il fondo,
in fondo non è che un girotondo,
sirtaki di adepti ubriachi, molli come cachi
malleabili omuncoli soggiogati dai fati,
difatti trasloco in Perù per un po’
porompompero, la sclero che ho:
lo so e non recito il “non lo so”,
iela fò come Dario nel vocabolario che dò
di petto, mi diletto in sto maledetto be bop,
dita lacerate dalle corde,
musica che morde, percuote le porte
di cuori offesi da fuori, ricolmi di fiori,
di furori e colori dei giorni migliori,
via Rizzoli piena di furgoni,
corrieri di uno ieri che stenta a svanire
dai miei pensieri e dall’avvenire.
Addavenì a nuttata, Partenope Immacolata,
vicoli e vincoli in questa giornata smagliata,
sbagliata, scagliata come un sasso sulla nuca,
qui da San Luca attendo che la luna riluca
e riduca la malvagità che non muta.
L’alba a Kochi sa di polvere da sparo,
vado alla Barca e la varo, l’avaro domani
mi mette le mani addosso, adesso
voglio vederci chiaro.
Inventerò l’amaro del capro espiatorio,
il prete spia le bimbe all’oratorio,
ora torno e mi faccio un “cacio e pepe”
vogliono tutti fuggire dal buco nella siepe,
sopra il capo ho gli anelli di Saturno,
mai quello frizzante, lo voglio fermo il Gutturnio,
violini violati da violenti scrosci di note,
notte che cala su Ludwig Van Eindhoven.
Praticamente i sogni pindarici che ho avuto successivamente in quella notte soporifera. Lasciando da parte il mio humour da “Goodbigtimer” (Trad. “Buontempone” sentenzierebbe Gugòl Trasleit) l’ostello era decisamente pulito, i gestori gentili e disponibili e il cane lupo residente molto simpatico anche se rallentato nei riflessi da quella miscellanea di esalazioni mistiche. Il giorno seguente, zaino in spalla, sono andato in stazione a comperare la realizzazione di un sogno dimenticato in un cassetto chiuso oramai da troppo tempo.
“Xanax”, il cane dell’ostello
Nelle gradevolmente asettiche, linde ed ordinate stazioni olandesi tutto dà l’impressione di funzionare con una precisione orchestrale, una precisione a cui noi italiani non siamo più abituati, vuoi a causa di un taglio culturale differente, vuoi per il prolungato periodo di depressione economica e politica che attanaglia il Belpaese; ad ogni modo non smetterò mai di credere nella rinascita, che non vuol dire rinnegare la propria natura, anzi, significa saperne estrarre le qualità salienti.
Per questa cicca di sigaretta abbandonata in stazione ad Utrecht, il paese intero si è fermato per un’ora di raccoglimento
La voce annuncia la partenza verso Groningen via Utrecht. Durante una percorrenza di circa tre ore, ho letto il manuale tecnico “Impara l’uncinetto giocando a basket”, ho ascoltato vecchie musiche e parole di Pino Daniele, la cui mediterraneità sarebbe invece a mio parere necessaria nelle pianeggianti distese beige dei Paesi Bassi, ho contemplato il mondo riassunto in due linee continue che correva ai lati di un treno immobile, ho osservato dentro me. Mi domandavo infatti come mai fossero così pochi i passeggeri persi dentro uno “schermotocco” (ora capisco perchè a stare ore davanti a quegli schermi si diventi un tantino “tocchi”) poi guardando meglio,
Adesivi socialmente utili
ho realizzato che sui finestrini dei treno, sono stati apposti adesivi con due passeggeri stilizzati che parlano, un modo per invitare le persone ad approfittare dei viaggi per confrontarsi, conoscersi e non rimbecillirsi gobbi su di uno smartphone. Fidatevi, è bello ascoltare le storie delle persone, è un upgrade culturale che reputo molto superiore all’istruzione specialistica delle scuole.
Io e te, Groningen, finalmente soli! Il fiume di fronte alla stazione, un incontrollabile brulicare di biciclette davanti ai miei occhi ed il sole ad intiepidire l’inverno sono stati il biglietto da visita di una “tre giorni” d’amore civico con una giovane città che mi ha conquistato con il suo carattere mite e spontaneo . Ma ne parleremo nella prossima puntata, dopo 15 minuti di ricreazione.