Era da tempo che anelavo ad una collaborazione con il “groovy” Francesco Minichini ed è successo in maniera atemporale per volontà coincidenti al di fuori dello spazio e del tempo: scrissi difatti una cosa intitolata “Hikikomori” tempo fa, ed ho ritrovato il bandolo della matassa in questo tagliente sfregio d’anima del “compagno di merende” Jodelaki che ha suggellato il suo scritto con lo stesso titolo. Ma non è tanto l’intestazione a fare da denominatore comune, quanto il pensiero desocializzante che impernia i due scritti, la quieta mascolinità disidentificata da una società nella quale adattarsi corrisponde a soccombere. Credo che sia per Filippo che per Francesco l’autoesilio venga manifestato come un diritto inalienabile, in un sistema che vorrebbe recluderci tramite il peggio e la vacuità morale dentro “soffocanti” recinti digitali chiamati paradossalmente “social networks”, all’interno di banali frasi fatte che nascondono una sleale ipocrisia di massa, mentre il mondo “reale” sta per essere coercitivamente sgomberato come se ogni essere umano non avesse gli stessi diritti (o meglio, privilegi) dei suinidi oligarchi e dei loro turpi servitori. Mentre la mia cosa è più simile ad un cactus che con le sue spine tende a tenere a distanza chiunque, il flusso di Jodelaki è più interiorizzato, anche se di facile lettura in “presa diretta”. Non so in quanti leggeranno queste due scariche elettriche, ma sono certo che chi lo farà troverà un senso nuovo nello smembramento di uno status quo suicida per spianare la strada alla nuova era. Strizzo l’occhio a Francesco Minichini e vi auguro di stare in luce. (Filippo Fenara)