Sono le differenze che ci rendono uguali. Fateci caso: finchè i dialetti erano le lingue più parlate, gli Italiani erano più coesi e solidali tra loro – a parte l’eterna stupidità del confronto tra Sud e Nord – oggi invece, soprattutto nelle città dove l’italiano ha soppiantato il vernacolo, c’è un disgustoso individualismo, ognuno pensa per sè, anche il campanilismo si è ulteriormente disgregato in microparticelle di diffidenza ed aggressività nei confronti del prossimo. Io, pur essendo un generatore compulsivo di neologismi, attraverso la lettura di tante poesie, sto risalendo la corrente frammentatrice e mi godo le sonorità, i termini e le peculiarità grammaticali di tanti dialetti, dal sardo logurese di Rita Coda Deiana, al napoletano verace di Ettore Massarese, passando per il siciliano di Lyth Karu, fino all’abruzzese di Manuela Di Dalmazi. Questa infatti è la carta carbone di “Quant’è vero Gesù Cristo” una sua ammaliante ed intima poesia dialettale della quale troverete la traduzione in Italiano e Inglese nella descrizione del video sottostante, dove la poetessa recita con un accento aggraziato ed un intercalare riflessivo i versi del componimento. In realtà quest’articolo è solo un piccolo antipasto della presentazione del suo recente libro “È Tempo Di Disobbedire” che sarà pubblicata su LeMieCose (e condivisa ove possibile) nella rubrica “l’allibratore” domani alle 13:00. Sicuro che non mancherete all’appuntamento, vi lascio al suono flautato della voce di Manuela Di Dalmazi e del dialetto abruzzese raccomandandovi di stare in luce. (Filippo Fenara)
(Dialogo di un vecchio con sé stesso accanto al focolare, quando la vita volge al termine e il suo rivolgersi al Signore chiedendo di dare ai suoi figli tutto ciò che è mancato a lui.)
Ch’aja fà
abbirrutàte a ‘sta vita
come ‘na matassa di lana
càvze rutt e ciàvatt
solo
accanto a lu foco
‘ngh un poch di cicoria.
Ah! Quanto so’ amari
sti jurn di vicchiaia
ciopp’ e senza dind
che manco
lu Ciffe e Ciaffe
poss muccicà.
‘Na vita di sacrifici
e la guerra so’ passat
so’ ite pure sfullat
e mo’ la solitudine
ma gabbath.
Fuori lu vend;
che pozza mett
‘na cianghetta
a sta’ sorte
non pè mè
ma pè lì fija mè
daij tutto ciò che
ja mànche
quant’è vero Gesù Cristo:
i t’aspett
lu stess
pure senza cappotto!
C’ha mànche!