Mi ridesta il corriere
consegna un mazzo di spine
da parte della mia ex,
ringrazio con un conato
chiudo col passato
e con quella sorta di T Rex
il caffè bruciato del disconto
è pronto,
denso come petrolio,
accarezzo il gatto contropelo
lui mi graffia l’avambraccio,
sanguinante taccio
spaccio pensieri al grammo
spammo il web
con lo spasmo che burna in me
m’affaccio dal terrazzo
per assistere ad un alba del c***o
se fossi un poeta avrei già postato
ma sono un accatasto di devasto
che si offre in pasto
al solito tudei d’impiastro,
Fox dice che è meglio se m’ammazzo
calzo le snicche
e scendo nella calle
intravedo solo grosse palle
che come Fidel
col mio verbo castro.
L’album di Observe Since 98 dal quale ho estratto il brano che accompagna quest’emetica elegia lo trovate recensito qui.
Durante queste ultime feste si è giustamente dedicata alla sua famiglia, lasciando uno stuolo di orfani della sua accecante creatività. Tornando, ha dato fine alla snervante astinenza pubblicando articoli inerenti l’arte pittorica, poesie, ospitando altri autori nel suo blog e regalandoci la chicca che state per leggere, figlia dei suoi vent’anni, nei quali si sentiva a suo agio nello scrivere in francese, già con una freschezza e profondità che tuttora la caratterizzano. L’anima di Matilde non sembra essere interessata dallo scorrere del tempo, questa composizione ne è la prova, ha sempre cavalcato un immaginario docile, dolce, profumato e sentimentale, il suo talento è evidentemente genetico ed innato, basta leggerne i versi. Vi lascio al flebile rollio di queste meravigliose parole che ho lasciato anche in lingua originale per i francofoni, seguiti dalla splendida traduzione in italiano che vi obbligo a leggere con amore e cedevolezza. (Filippo Fenara)
Je suis ici,
entre la lumière
et les feuilles,
sous la tonnelle
du jardin aux citrons,
et j’attends ton retour.
Seule avec l’écho
de mes mots,
je voudrais entendre
les tiens.
Telles des épingles
de petites larmes
me piquent aux yeux
fatigués par l’attente.
Attente vaine, sans fin,
oxygène et miel,
eau qui tombe
et dégouline
sur les toits
de mon âme.
Sono qui,
tra la luce
e le foglie,
sotto il pergolato
del giardino dei limoni,
e aspetto il tuo ritorno
Sono sola con l’eco
delle mie parole
e vorrei sentire
l’eco delle tue
piccole lacrime
come spilli
pungono i mie occhi
stanchi per l’attesa
in questa attesa vana
e senza fine,
ossigeno e miele,
acqua che si abbatte
e sgocciola sui tetti
dei miei pensieri
I fatti accaduti recentemente a Washington hanno solo aumentato la dose di Biochetasi che assumo quotidianamente per tollerare la nullaggine che anima quest’umanità in avanzato stato di decomposizione. Peggiorativa è stata la democrazia da social che ha permesso ad imbecilli, avvoltoi, scrittoruncoli prezzolati, influencers subnormali, di dire la propria fasulla opinione e di schierarsi pro o contro, come se l’idiozia fosse divisa in due fazioni. Per fortuna c’è Ettore Massarese, che con una manciata di versi “di pancia” e il suo sconfinato vocabolario emette una sentenza definitiva su questo grottesco abominio che, più di un attacco alla democrazia, assomiglia ad un offesa all’intelligenza. Dimenticate quello che hanno spiattellato sugli schermi i TG, scordatevi dei boriosi articoletti usciti sui social e leggete lentamente i versi di questa poesia: capirete che questo è solamente uno degli ultimi avvertimenti prima del tracollo definitivo dell’umanità ed Ettore Massarese ne è cronista rivelatore di lusso. (Filippo Fenara)
Fragile pazza folla
bieca di morte corolla.
Cimiteriale
è il tuo osceno carnevale,
un Halloween d’accatto
e non dolcetti o caramelle
ma son pallottole il riscatto.
Sei grumo di fango
in questo inverno infernale
catastrofica milizia
quanto infingarda e banale.
Partorita sei d’antico ventre,
seme mostruoso e fecondo,
la cui copula da sempre…
stupra e infetta il mondo.
Scopi nel letto putrido
del “sonno della ragione”,
del decrepito occidente
sei l’immarcescibile infezione.
Grazie ad un assist della sempre gentile Luna aka @anima_inversi mi sono felicemente finalizzato sul gustoso profilo Instagram di Francesco Minichini aka @jodelaki, sorprendendomi di quanta istantaneità e ritmo riesce ad imprimere nei suoi scritti, sia che cavalchino un formato accademico, sia che vertano più alla slam poetry o alla spoken word. Il suo stile ricalca un po’ la “missione” di Le Mie Cose di creare pacificamente un intreccio tra la strada e l’elite dell’alta poesia, per cui sono entusiasta di diffondere, con il necessario consenso, il suo mood per quanto mi sia possibile, sperando che questa nostra collaborazione si protragga nel tempo a venire. Per oggi vi presento la sua “Il Bene e Il Male” (titolo affibbiato da me per motivi “editoriali”), componimento emblematico del repentino transfert che avviene dall’anima di Francesco Minichini direttamente alla penna, senza apparentemente essere filtrata da troppe revisioni e correzioni che ne comprometterebbero la delizia dell’improvvisazione. Augurandovi una buona lettura, mi raccomando di seguire il succitato scrittore sul suo profilo Instagram di cui vi lascio il link in calce alla poesia, converrete con me che ne vale assolutamente la pena. (Filippo Fenara)
Dicono quattro mura
facciano una stanza
anche se al tocco del tatto
perdono dote e sostanza
d’estate sembra neve
d’inverno sembra sabbia
gli antipodi fanno corazza
Eppure dicono che l’eco
corra di stanza in stanza
e si senta più a casa
la voce: difficile s’arrenda
anche se non ascoltata
E sul tavolo c’è una virgola
di miele, per voci rauche
che appena la goccia si
gira, fan sù col bicchiere
D’altronde: qualcuno di noi
l’ha davvero capita?
La differenza stessa
tra il male ed il bene?!
Naufraga
di coscienza altrui
//annaspo.
Piglio il daspo
da me stessa,
//ci ricasco.
Pronta, mai pronta al fiasco
in un lasco damascato
//mi rilascio.
Divina mascolina,
giro la carta,
//sono un asso!
Sopra un vassoio,
denudata, bevo fuoco
//sono ghiaccio.
Calpesto tutto quel che dico
e che taccio
//sono corona di spine all’addiaccio
Infine
//è uno strazio.
Pagare questo dazio,
rastrellare ogni spazio
//@sentirmi viva.
L’ipsilon rabdomante vibra
davanti a una sorgiva.
Ma è kryptonite psicoattiva.
//Non ho mai voluto farti del male
Scrive tanto e non sbaglia un colpo. La gamma di contesti moltiplicata per le innumerevoli nuances di colori che affronta La Eli fanno di lei una scrittrice difficilmente categorizzabile, un’anima sfuggente, una creativa incredibilmente versatile, commercialmente ingestibile e, proprio per quest’ultima peculiarità, meritevole di attenzioni importanti e approfondite. Mi ha danneggiato le coronarie sfiorando il tema dell’eros in “viVERSI“, si è elevata a cyber amazzone nella perentoria “Pixels“, ha messo in campo il suo lato ironico nella nostra collaborazione “Tripla X” (come dimenticare lo slogan “Ti slogo col pogo”?), ci ha regalato calorosi “Buongiorno!” ed ora…una struggente buonanotte. Fosse per le sue splendide ed evocative parole dormirei sonni tranquilli, ma un tarlo che mi corrode i pensieri mi terrà sveglio: com’è possibile che La Eli non sia ancora stata incoronata come una delle più interessanti autrici italiane emergenti? (Filippo Fenara)
Se dovessi scrivere una biografia romanzata di Rita Coda Deiana, l’intitolerei “L’invidia Del Cuore”. Perchè l’invidia non è un buon sentimento, ma questo particolare caso rappresenterebbe la classica eccezione che conferma la regola. Seguire le sue impronte liriche, il suo esempio morale, la sua dolcezza, la sacra liturgia del suo sentire, non può che essere la strada giusta, il percorso che la poetessa sarda spiana con altruistica abnegazione perchè il suo cuore, appunto, è a senso unico, il senso del bene. Trovo inutile e presuntuoso da parte mia commentare i suoi scritti, cerco solamente, nel mio notturno, artigianale, modesto lavoro, di diffondere il più possibile il suo verbo perchè ho la certezza oggettiva di fare la cosa giusta. Rita Coda Deiana è un raggio di sole che perfora il buio di questi tempi e dona speranza a chi ha perso il senso, la direzione, il nesso con l’uno assoluto. (Filippo Fenara)
Tempo, tempo, tempo: ecco cosa abbiamo.
Tempo per osservare da lontano le cadute
negli scalini di Plutone
davanti all’uscio
della sua perversa profondità.
Tempo per prolungare gli sguardi velati
sugli schermi delle tue distese articolate
che fanno vibrare l’aria
riscaldandola.
Tempo per indietreggiare sulla strada
che conduce alla comprensione reciproca
quella assoluta che mai si cancella.
Tempo per assorbire il profumo dei baci
che così poco conosciamo
ma così familiari
da sembrarci vicini all’essenza.
Tempo per raccogliere desideri e sogni
di una vita tracciata a matita
su un biglietto del treno
andata e ritorno.
Tempo, tempo e ancora tempo: solo questo.
La torre di Babele che crolla lasciando spiazzati, frastornati, confusi, scioccati. E che mette davanti ad un bivio: da una parte ricostruire una torre ancora più alta, dall’altra pensare che in fondo, scendere è l’unica strada per arrivare in cima alla vita. Filippo si è trovato davanti a questa biforcazione pochi mesi fa ed ha scelto il secondo percorso. Non conosco così a fondo la persona Marianna Bindi, ma la poetessa ha un evidente ed inestimabile talento impresso su fogli mischiati a bollette e volantini del supermercato, in files obsoleti tramortiti dentro chiavette in ripostigli angusti, versi annotati sul retro di scontrini poi accartocciati e gettati nella spazzatura. Disperdere i suoi pensieri, che sono oggettivamente un patrimonio intellettuale di tutto rispetto, lo ritengo veramente un peccato imperdonabile e sto cercando, grazie soprattutto alla sua disponibilità, di ricostruire un archivio delle sue visionarie composizioni. Questa memorabile “La Torre” è solo un succulento antipasto alla nostra prima collaborazione (come promesso qualche giorno fa) in written word improvvisata tramite chat che ha dato alla luce “Kryptonite”, in rampa di lancio su Le Mie Cose domani mattina alle 8:30. Ed è solo l’inizio della nostra ascendente discesa… (Filippo Fenara)
Un torrione
che si acchiocciola
dagli inferi al cielo.
Una scalinata
di concatenazioni
e di note a margine
di un dispiacere.
S’apre un varco
nella torbida notte di scuse:
sono io che m’arrampico
e che m’inerpico
aggrappata
a un passamano.
Come una pianta
osservo e persevero
in un mutismo universale
voglio solo abitare radici di parole.
Ramificandole.
Approfitto di questa chicca aulica di Manuela Di Dalmazi per dare a tutti i lettori l’appuntamento Venerdì 15 Gennaio alle 21 su queste frequenze, per una succinta recensione della prima silloge della poetessa succitata “Germoglia L’anima Deserta” in occasione dell’inaugurazione della nuova rubrica “L’allibratore”. Restate sintonizzati. (Filippo Fenara)
Nell’ambito della #glottopoesia organizzato magistralmente da @phoenisia, il più reattivo, capace e creativo, secondo il mio modesto parere, è stato Claudio Picchedda, che in questo “fuoripista lirico” ha dimostrato evoluzioni dialettiche notevoli. @cpbacco ha scritto tre #glottopoesia e sono onorato di averne potute ospitare due, questa e l’altrettanto incisiva “Iceberg“, tra le mie carte carbone. “Fibra e Fibrilla” (titolo che ho dato io per necessità “editoriali”), rispecchia l’anima di musicista e poeta di Claudio Picchedda, a parte i riferimenti diretti del principio dell’elegia, i lemmi sembrano avere la funzione di un plettro che pizzica le corde dell’anima, versi brevi e contorti come un flamenco suonato in un assolato angolo di Siviglia, effervescenti come una bottiglia di cola shakerata ed aperta, esplosivi, vivaci, fervidi. Devo timidamente asserire che preferisco il @cpbacco quando “sbanda” dal suo “stile di comfort”, quando l’improvvisazione diventa un’urgenza per lui e un nettare rinvigorente per i lettori. Comunque sia, seguitelo, seguitelo, seguitelo. (Filippo Fenara)
Il kamikaze timido
cincischia sull’obbiettivo
fischietta “About a Girl”,
nipponico Nirvana,
sbranato
dal previo rimorso
come un corpo
sottoposto a disosso
a ridosso del sacrificio d’artificio
per gli aficionados
del supplizio a progetto,
moralmente costretto
al rigetto della vita,
gira la cloche
vira, come un bosch s’avvita
e la fa finita
centrando la mia matita.
Coincidenze: nel Novembre del ’97 ero seduto ad un tavolo di un ristoro a Fort Dauphin, nel sud del Madagascar e un simpatico cagnolino stazionava sotto il mio tavolo in attesa di qualche scarto da addentare. In quel momento maturai lo stesso identico pensiero espresso in questa asciutta e lineare poesia di Raffaella Lazzarato e, quando il caso ha voluto che i miei occhi l’incrociassero sul suo profilo Instagram (23 anni dopo…), ho avuto un forte deja vu, una vertigine che solo i meravigliosi e misteriosi rompicapi dell’esistenza riescono a scaturire. Ho capito che volevo approfondire e ho scandagliato le parole chiare e significative dei suoi versi e l’emotività che si propaga dai suoi ispirati clic ed ora è graditissima ospite delle carte carbone di Le Mie Cose. Per il momento vi consiglio di tuffarvi come avventurieri dell’anima tra i mosaici del suo account e del relativo blog, ancora è troppo presto per dirvi cos’è, ma posso assicurarvi che nella comunicazione di quest’autrice e fotografa risiede qualcosa di unicamente speciale. Spero che attraverso il suo consenso, avremo modo di cogliere i frutti della creatività di Raffaella Lazzarato attraverso una collaborativa conoscenza reciproca. (Filippo Fenara)
In ginocchio sotto al tavolo
attendi paziente che una mano padrona
ti conceda le sue briciole.
Testa bassa,
occhi socchiusi,
mano tesa pronta ad accogliere.
Com’è successo?
Quand’è successo?
Che hai smesso
di essere te per ritrovarti
qualcuno che non riconosci.
Che hai smesso
di sentirti forte,
una,
completa.
Per ritrovarti
a elemosinare attenzioni
da chi ti tocca
con mani estranee.
Com’è successo?
Quand’è successo?
Che senti freddo,
ma non sai più scaldarti.
Che senti rabbia,
ma non sai più sfogarti.
Che resti in ginocchio,
e attendi paziente,
briciole che sai
non potranno saziarti.
Mani che
si riconoscono
sotto lenzuola
di seta,
dita intrecciate,
corpi svestiti
collidono
incendiandosi
nella Tundra
sconfinata
di palpebre
abbassate,
il palmo caldo
sul ventre gravido,
profezia
di vita intonsa.
Colgo l’occasione per ringraziare @la_fleur_66 per la gentile concessione della fotografia di copertina e per comunicarle che, la prossima settimana, sarà, assieme ai suoi scatti, ospite della nuova rubrica di Le Mie Cose “Foto Sintesi” per presentarci le sue emozioni in immagini.
La collaborazione continuativa tra PMR e Luisa Cataldi è un bell’esempio di coesione ed intreccio d’anime. Dopo aver letto il racconto in prosa (se ve lo siete colpevolmente persi lo trovate qui), ora ci accingiamo alla perpendicolarità lirica di PMR che ha l’innata capacità di “perforare” anche l’occhiata più distratta per installarsi nel subconscio del lettore. In una metafora fantasy si potrebbe asserire che questa poetessa è il “Mastro Di Chiavi” di lettura, sinteticamente essenziale, in picchiata come un kamikaze, ricorda il flusso “a discesa libera” dei migliori rappers freestylers, PMR è un’enucleatrice del nocciolo della questione. Godetevene il flusso… (Filippo Fenara)
Rachele Ricucci ama le parole. Ed è un amore corrisposto. Le accarezza, le coccola, le nutre d’anima, le studia, le modella, ci si veste e trucca il viso, ne lambisce il profilo con i polpastrelli, le deterge dalla gergalità, le piega come aeroplanini di carta e le accompagna in un volo dalle traiettorie desuete, le libera da significanze date per scontate, le nasconde tra le pagine di un libro perchè non se ne appropri il silenzio, le solleva, le soffia fino a farne bolle di sapone che s’infrangono su occhi attoniti. Signori e Signore, Rachele Ricucci.
Non capisco
la merda che insceni.
Ti specchi sulla lama,
copiosa scoli,
con la lingua
ne sfiori il filo,
polpastrello
inferto dalla punta.
Fendente deciso
raptus improvviso
sfregio indelebile
reciso di preciso
cutti la gola
alla scimmia
che ti scimmiotta
clicchi una macro
sull’arteria mozza.
Solitamente, per i “brensi” (brevi ma intensi nello slang bolognese), preferisco non spendere parole di commento, in questo caso faccio una necessaria eccezione per questa splendida gemma di Alessandra M. aka @senzavoce.it, in modo da consigliare a tutti i lettori di seguire i links per la pagina FB e il profilo Instagram (indicati in calce) in quanto solo lì è possibile vedere le suggestive animazioni superbamente musicate che accompagnano i versi della poetessa. A buon intenditor… (Filippo Fenara)
Con passi malfermi
m’avvicendo perplesso
scivolando sulle nubi
tra celesti coreografie
e scultorei cherubini
con ali dispiegate.
L’incerto mio incedere
incespica nel dubbio
man mano
che m’approssimo
al sacro varco,
le dita contratte
impugnano
la maniglia gelida poi…
desisto,
giro le spalle
e scendo le scale
verso gl’inferi.
Dopo una vita
da ultimo
l’ultima cosa
che vorresti essere
è un tronfio primo.
© Lemiecosepuntonet
Un’autrice che non manca certo d’autentica veracità è Biagina Danieli. Ma è solo seguendola con assiduità e seguendo la sua produzione aulica che si può interpretare questa “Carne” come una sincera espressione di sè stessa da non catalogare troppo frettolosamente tra la “poesia erotica”. Difatti, dei versi che state per andare a leggere, personalmente ho apprezzato la fluida e trasparente passionalità di pensiero, il ritagliare il senso di piacere dalla sua riottosa e ribollente anima per incollarlo, così com’è, sugli occhi dei lettori. Conoscendo virtualmente Biagina Danieli, non riesco ad intravedere malizia o ludibrio ma solo un umano, istintivo, sentire. Buona lettura.
Mi servirei a te sul vassoio d’argento.
Divorami di baci e carezze.
Pasto succulento d’amore e passione.
Materie prime di pelle e sudore.
Continuerò a darmi alla tua fame
con la mia carne tenera e burrosa.
E tu gustami ad occhi aperti.
Godi la mia sincerità perchè
ti donerò anche l’ultimo spasmo.
LeeLoo è sensibilità, è passione, è il corpo di un vino rosso del sud Italia. LeeLoo è un’anima incandescente che s’infiamma ad ogni sussulto della vita, LeeLoo è la cruda ma terribilmente affascinante nudità dell’anima, è la semplicità di vedere l’universo intero nelle cose semplici, è l’abnegazione nel voler realizzare l’utopia, LeeLoo è la dolcezza di un verso perentorio, è la chiusa di un’infinita elegia che apre la porta ad un domani scaldato da un sole albeggiante, è il tratto di penna che ti racconta un sentire remoto sui fondali dell’anima, la poesia di LeeLoo non va letta, va sognata senza…scivolare via. (Filippo Fenara)
Quando
l’incastro
dei corpi
trema nel
quieto cielo,
sento morire
lieve
ogni parte
di me.
Lentamente
si sgretola
nel fiume
del passato,
per rinascere
ancora
nel vuoto
che
ho creato.
È passione
dimenticata,
immortale
e mia.
Non scivolare
via,
quando
è vita,
seppur
non eterna,
ma viva.
Ho scritto, in passato, di poemi incantevoli di Silvia De Angelis, ma con il tempo mi ha pervaso l’intenzione di condividerne l’inestimabile valore aulico assieme alla realizzazione di non avere le giuste competenze per commentarne i componimenti. Perchè, per quanto mi ostini a non vedere il mondo nella sua forma piramidale ma come un vascello dove tutti, dico tutti, siamo mozzi con gli stessi diritti e doveri, la realtà è che Silvia De Angelis, lo dico molto serenamente, stanzia ai livelli apicali della poesia classica italiana e, nel suo contesto, ha scavato un gap importante, non credo per ambizione ma per talento ed indole naturale. Però, conoscendola ogni giorno di più, devo anche sottolineare che, come tutte le grandi persone, la poetessa romana non fa pesare questo evidente divario, condividendo le mie “cose” sul gruppo Facebook, mostrandosi sempre gentile ed amichevole nell’accogliere le differenze come motivo di crescita reciproca. Un po’ come se Cristiano Ronaldo mi telefonasse per andare a fare due palleggi… (Filippo Fenara)
Nel filo labile posato su passi assorti
incanti e disincanti
fan leva sul mio profondo
marcando la levità dell’asse che stenta d’equilibrio
nell’enfasi di un’overdose
Nei chiaroscuri e ridondanze d’ombre soffuse
s’intrecciano fosche accentuazioni
di realtà fumose o cangianti
colorano di rosso
il magma disciolto nel vento che mi sfiora
si accentuano i suoni della vita
inebriando uno strabiliante vuoto d’aria
nella possenza d’un attimo fra le mani a respirare…
Oltre a rappresentare una faretra piena di frecce lessicali estrovertenti, questa poesia di @phoenisia è anche emblematica della partecipazione di questa eclettica scrittrice nell’ambito del @circolodellepoetesse, profilo Instagram che raggruppa tanti femminei talenti del mondo onirico che si sostengono a vicenda per una crescita collettiva. Sebbene abbiano respinto la mia richiesta di adesione, non posso che avere buone parole per questo nuovo team che seguirò con interesse e curiosa passione, cercando, quando possibile, di avvalorarne la coesione, la comunione d’intenti e il senso di comunità che esala essenze dialettiche a difesa di uno status che amo e rispetto: quello di essere Donna. Solo la classe urbana di Veronica Annunziata poteva sviscerare i complicati ed immaginifici tratti di questo status in termini che ho trovato meravigliosamente civici, tropicali, amazzoni, fieri, che si spengono – o forse si alimentano – in una chiusa, a mio parere, dolcemente provocatoria, ovvero “Aiutami a pensarmi libera” quando, nella steppa sterminata di questi versi, @phoenisia lo è già e nell’accezione più umana del lemma. (Filippo Fenara)
Sono abbastanza donna
da ballare sotto le cascate
del Niagara con 2 gocce
di Chanel N 5 ad ingioiellarmi
il collo e sfiderò tutti
i ghepardi della giungla
ad una gara di agilità
non essendo né gazzella, né leone
quando Sol alzerà il capo
io sarò atto di ribellione
con le stringhe slacciate
E la gomma da masticare in bocca
o più semplicemente bolla
di sapone in mezzo a tante
piante grasse
È Attraverso le scabrosità
poco percorribili che si giunge
all’essenzialità dell’immaginabile
e dell’immaginazione-
E se fossi un’autoimmagine
inconscia e scatenata in una domenica
in cui la pioggia riga gli zigomi dei vetri?
Aiutami a pensarmi libera
Odio le poesie d’amore, ma trascendo dall’iperspazio onirico di Ettore Massarese. Mi spiego meglio: l’amore, a livello semantico, è il sentimento più meramente inflazionato dagli “artisti” che spesso ne finiscono per svilire l’essenza, che ne danno un significato – più o meno consapevolmente – omofobo, che lo presentano come rosa senza spine, affrancandone la mistificazione a scopo commerciale. Normalmente, davanti ad un titolo del genere skipperei avanti, se affiancato al nome di Ettore Massarese, come è successo qualche giorno fa, mi sono soffermato a leggerne attentamente i versi: fate come ho fatto io e vedrete che sarà una scelta che non rimpiangerete. L’anima non mente. (Filippo Fenara)
C’è un segreto nel mio cuore,
v’è custodita
la più intima delle poesie d’amore.
Un distillato è di silenzio intenso,
un senza tempo
che veicola nell’immenso.
Oh, non ha sequenza di parole,
son suoni e battiti al calar del sole,
si, l’oscillare
di luce di un tramonto lento
il suono lieve di un tempo contento.
La scrivo
ogni istante al ritmo del respiro,
e mi scorre nelle vene mentre…
nel ricordo
si fa carne la figura cui miro.