Sono un tizio, un tizio qualsiasi. Non mi piace perdermi in piaggerie e sono fedele al culto della verità. Per cui, senza scadere in sdilinquiti confronti di genere, trovo opportuno asserire che il collettivo Instagram @ilcircolodellepoetesse raduna tra le proprie fila parecchie autrici (di alcune purtroppo non ho avuto ancora il tempo per approfondirne la conoscenza) che considero personalmente di alto profilo compositivo e che sovente vengono benevolmente ospitate anche sulle carte carbone. Se fossi in voi ed avessi un account Instagram ne seguirei le evoluzioni, tutto qui. Tra le “amazzoni del verso” del suddetto collettivo, sbircio sempre volentieri i grandi progressi e le pulsazioni del “cuore di bambagia” di Ilaria che, soprattutto nell’ultimo periodo, gode di un’ispirazione molto forte e trascendente. Il suo vocabolario è particolarmente pertinente ed in pendant con l’immaginario che sgorga dalla sua anima morbida e profumata come mollica di pane appena sfornato, il flusso è un ruscello che rilassa con i gorgoglii dialettici che la poetessa di sede a Parigi modella con amorevole cura e dovizia, i versi sono morbide “spire” come i riccioli di una bambina, le sue chiuse sarebbe meglio ribattezzarle “dischiuse” perchè, come azalee, si aprono a riverberi infiniti. Leggete la poesia e vedrete che mi darete ragione. Statemi in luce. (Filippo Fenara)
Spire
I lacci tuoi languidi segneranno il mio corpo,
non dirmi di lasciarti andare,
dovrei spezzarmi la vita.
Delle tue spire ne inalo l’intarsio,
che fumante lascia vivido il cuor.
Arriveranno in sogno
libellule sottili
dalle ali ricamate di brace
liberando frammenti di cielo.